lunedì 8 dicembre 2014

Capitolo 14

 -Quindi tu e Diana vi conoscete da quasi sei anni?-
Lea annuì, rivolgendo un sorriso sereno al ragazzo che le aveva appena posto quella domanda. Il fuoco che ardeva nel grande camino della sala comune dei Grifondoro insanguinava la sua pelle abbronzata, sottolineando le forme lievi ma presenti della muscolatura tonica delle sue braccia, mentre lei sorseggiava con aria assorta una cioccolata calda.
-Sì.-
Il rosso ridacchiò, scartabellando distrattamente fra i fogli dei compiti che non si era nemmeno curato di portare a termine dopo aver cominciato a parlare con Lea.
-E sei sopravvissuta così a lungo?- aggiunse, guadagnandosi una smorfia da parte dell’americana che non provocò altro, da parte sua, se non una risata ancor più piena.
-Non è così malvagia, su.- lo rimproverò la giovane, aggrottando le sopracciglia e tentando di mantenersi il più seria possibile – era difficile, però, pensare a Diana come ad una persona equilibrata e tranquilla dopo averla appena vista frantumare un muro perché un'insipida biondona le aveva insidiato il ragazzo… -Va bene, è un po’ isterica, ma sotto sotto è molto dolce.- si arrese, sospirando e accomodandosi meglio sul tappeto sdrucito davanti alle fiamme. -È una delle poche amiche che ho.- le sfuggì, piano, e Ron vide i suoi begli occhi velarsi di tristezza.
-Una delle poche?- le domandò, sperando di non sembrare indelicato. Lei sospirò, mescolando mestamente la propria bevanda.
-Non sono quel che si definisce una persona socievole, Ron. La maggior parte delle persone non mi vede nemmeno.- gli spiegò, piano, ringraziando fra sé il calore del camino che si era già premurato di arrossarle le guance.
Non era mai stata una ragazza in grado di fare amicizia… la timidezza che provava nei confronti del mondo, e che solamente Diana e pochi altri erano riusciti a valicare, le aveva sempre impedito di avvicinarsi ai propri coetanei con la serenità e la scioltezza che aveva sempre scorto nelle persone attorno a sé; era sempre stata taciturna, e questo era sempre stato un handicap troppo ingombrante per essere ignorato.
-Io ti vedo.-
Lea trasalì, imbarazzata, abbassando i grandi occhi castani sulla tazza di cioccolata ormai semivuota – aveva un sorriso così dolce, notò Ron, così spontaneo… le nasceva in volto con una delicatezza disarmante, timoroso ma abbagliante nella sua luminosa semplicità.
Era così diverso dal sorriso artefatto di Lavanda…
Ron si morse la lingua, spostando l’attenzione sulle braci scoppiettanti che giocavano a rincorrersi nella bocca del caminetto, tentando di ignorare la sensazione di profondo disagio che si era animata in lui non appena il nome della sua ragazza gli si era presentato alla mente.

Diana aveva fatto ritorno alla Torre solo quando era stata sicura che anche l’ultimo Grifondoro, eccetto Ronald, si fosse ritirato nel proprio dormitorio: aveva gli occhi arrossati e le guance più pallide del solito, aveva notato il rosso, ma aveva sorriso a Lea e le aveva rivolto un vago cenno in direzione della propria stanza prima di salire in camera.
La riccia, cogliendo l’invito, si era alzata ed aveva augurato la buonanotte al ragazzo, lasciandolo prim’ancora che lui avesse potuto registrare qualcosa che non fosse stato quel sorriso disarmante che gli aveva rivolto prima di sparire nel buio delle scale che conducevano alle stanze femminili.
Era semplicemente rimasto lì, stordito, a guardare il punto in cui aveva visto sparire con uno svolazzo gli abiti semplici della giovane e a rivivere nella mente quel lasso di tempo che avevano passato, insieme, davanti al fuoco.
Avevano parlato di tutto: di Hogwarts, dei professori, degli studenti, della scuola di Lea e del paese da cui proveniva, dell’Accademia che lei e Diana avevano frequentato… di tutto, sì, meno qualcosa.
Perché non le hai detto di Lavanda, Ron?

§

Antiche Rune era una materia che Diana Black apprezzava molto ma che, essendo estremamente complicata, richiedeva una concentrazione e uno sforzo mentale impossibili da ricercare in una stanza in cui si trovava anche Blaise Zabini.
Sospirò, cancellando l’ennesimo errore nel trascrivere la runa “ansuz” e lanciando un’occhiataccia oltre la propria spalla; Blaise, che sembrava aspettare solamente quel gesto, le rivolse un occhiolino e quel mezzo sorriso in grado di irritarla profondamente e di affascinarla allo stesso tempo.
-Hermione?- chiamò, costringendosi a ridurre la voce ad un sussurro sebbene avesse solamente voglia di prendere a schiaffi quel cretino – “o di prendere qualcos’altro, possibilmente con la medesima violenza?” – non era il momento di pensare a cose del genere, maledizione.
-Sì?- rispose l’altra senza nemmeno guardarla, impegnata com’era a seguire attentamente le spiegazioni della professoressa Vector.
-Posso uccidere Blaise?- fu la supplica che la mora le rivolse, e a cui Hermione si limitò a rispondere con un sorrisetto ed un pragmatico:
-Fa’ pure.-


-Si può sapere come fai a rimanere presente a te stessa quando abbiamo lezione con loro?-
Hermione si lasciò sfuggire, finalmente, la risata che si era costretta a trattenere durante le due lunghe, infinite ore di lezione. Diana, al suo fianco, lanciò un’occhiata furente e indispettita in direzione del manipolo di Serpeverde che le aveva appena superate.
-Allenamento, credo.- rispose, divertita, seguendo – per un solo istante – la figura di Draco con lo sguardo prima di spostare l’attenzione sull’amica: i Serpeverde erano degli infimi bastardi, e Diana non aveva ancora mai avuto a che fare con la malizia e la pressione che uno di loro poteva scatenare nella sfortunata vittima di turno.
Avevano un che di perverso, nell’animo, in grado d’irretire anche la più irreprensibile fra le donne.
-Non credo che arriverò a questo tuo aulico ascetismo, Hermione. Io lo ammazzo prima.-
La Grifondoro scoppiò a ridere di nuovo, profondamente divertita dal modo che Diana aveva di accostare termini estremamente tecnici e ricercati ad un linguaggio che, di raffinato, aveva proprio poco.
-Non è ascetismo, è solo pazienza.- si giustificò, lanciando un’occhiata distante al cielo insolitamente azzurro per essere lo sfondo di quel gelido gennaio che si scorgeva al di là della finestra, e sorridendo appena quando un pensiero fugace le attraversò la mente.
Diana, che di pazienza ne aveva sempre posseduta poca, le concesse venti secondi di sguardi sognanti prima di schioccare la lingua per attirare la sua attenzione, incuriosita dai pensieri che aveva visto annebbiare la vista dell’amica.
-Com’è cominciata?-

§

Dopo le lezioni, quel giorno, le due ragazze avevano deciso di raggiungere gli amici al campo di Quidditch per l'allenamento serale dei Grifondoro – a dir la verità era stata Diana a strappare Hermione ai libri di scuola, arrivando quasi a trascinarla fuori adducendo come scusa un “impellente bisogno di far prendere ad Hermione una boccata d'aria fresca”: Hermione, paziente, si era lasciata convincere, ben sapendo che, in realtà, Diana smaniava di tornare sul campo di Quidditch perché Harry le aveva promesso di farle provare qualcuna delle manovre che stava provando coi Battitori, il ruolo preferito di Diana.
Così, nonostante il buio ed il freddo pungente, le due ragazze si erano imbacuccate in due sciarpe a testa e si erano avviate verso il grande campo esterno, chiacchierando tranquillamente mentre camminavano sull'erba ghiacciata che scricchiolava al loro passaggio. Tuttavia, non appena giunte in prossimità degli spalti, un vociare indignato, foriero di tempesta, le fece sobbalzare.
Quattordici persone occupavano il livello terreno del campo da Quidditch, dando ognuna del proprio meglio per esprimere a gran voce il disprezzo nei confronti di chi non indossava i propri colori: le squadre di Grifondoro e di Serpeverde, schierate l'una dinnanzi all'altra, si stavano affrontando in una discussione al coltello in piena regola, e Diana poté scorgere già qualche mano fremere verso la tasca della bacchetta.
-Ma lo fanno apposta!?- sbottò, esasperata, ignorando la scala che conduceva agli spalti e scavalcando bruscamente la paratia che divideva la zona degli spettatori dal campo vero e proprio, avviandosi con il suo solito passo marziale al gruppo dei rossovestiti inseguita da un'Hermione altrettanto scocciata dalla situazione. -Dannazione. Harry!- strillò la mora, esasperata, interrompendo gli sproloqui non propriamente eleganti che Harry Potter stava rivolgendo ad un Draco Malfoy estremamente divertito. -Ma è mai possibile che siate sempre in mezzo ai piedi, voialtri?- aggiunse, piroettando su se stessa per scoccare un'occhiataccia anche ai Serpeverde.
Draco la ignorò platealmente, dedicandole appena uno sguardo di bonario compatimento prima di tornare a dedicare la propria attenzione ad Harry. -Senti, Potter__-
-Ti sto parlando, Malfoy!- sbottò Diana, facendo un passo avanti e trovandosi ad un soffio dal ghigno divertito del cugino, reprimendo a stento il desiderio di prenderlo per il bavero e scuoterlo fino a rompergli almeno un paio di vertebre. -Lo fate apposta a venire a rompere le scatole ogni volta che si allenano i Grifondoro!?- gli domandò, nonostante lei stessa già conoscesse la risposta a quella domanda pressoché inutile.
Allora, soltanto allora, una voce ancor più familiare risuonò alle spalle di uno degli energumeni dei Serpeverde che, sentendo arrivare il damerino, si affrettò a scostarsi per permettere a Blaise Zabini di mostrarsi alla sua nemesi personale in tutto il proprio splendore. -È arrivata la paladina delle cause perse.- commentò, incapace di reprimere il ghigno che gli salì alle labbra quando scorse lo sgomento e la sorpresa lampeggiare sul volto di Diana.
-Oh, ma andiamo!- esclamò lei con voce strozzata, odiando profondamente la vampata di calore che immediatamente la travolse nel vederlo – dannata divisa da Quidditch, dovevano proprio farle così aderenti!? – e tentando stoicamente di mantenersi arrabbiata. -Sei anche qui adesso!?- sibilò, prendendo un profondo respiro per tentare di calmarsi.
Lui si strinse nelle spalle, ironico. -Mancava un Cacciatore.-
Diana chiuse gli occhi per qualche secondo, costringendosi a mantenere un’espressione compita e disgustata davanti a tutto quel bendiddio che – santo cielo! – doveva evitare di rimirarsi e che, al momento, non poteva proprio nemmeno immaginare di avere.
-Persecuzione, si chiama persecuzione.- borbottò fra sé, scuotendo la testa, prima di spalancare le palpebre per lanciare un’occhiata di fuoco ai suoi due Serpeverde preferiti. -Quello che fai tu non mi interessa, Zabini, ma adesso o ve ne andate o vi affatturo, perché non è possibile che siate sempre qua a scartavetrare i coglioni a tutti quanti!- ringhiò, esasperata, serrando le dita sulla bacchetta che nessuno era riuscito a vederla estrarre.
Ancora una volta, però, Draco la ignorò per rivolgersi di nuovo ad Harry.
-Ce la giochiamo, Sfregiato?- propose, strappando un sorrisetto trionfante a Blaise, fermo alle spalle dell'amico.
Oh, non promette niente di buono.” fu invece il pensiero di Diana che, continuando a tenere sott'occhio il suo – cielo, cos'aveva fatto di male per meritarne uno tanto stupido? – ragazzo per controllare che non ne combinasse una delle sue.
-Cosa intendi, Malfoy?-
“Sempre peggio!
-Harry!- lo ammonì, ma il bruno – esattamente come Draco, accidenti a tutt'e due – non le diede ascolto.
-Presa del Boccino.- rispose il biondo, sollevando una mano per mostrare un barattolo di vetro in cui un Boccino, probabilmente rubato, si agitava, alla disperata ricerca della libertà. -Il primo che lo cattura si tiene il campo per tre domeniche di fila.- continuò, agitando il vasetto davanti a sé. -Quello che perde… beh, si vedrà.-
E lo sguardo malizioso e terribilmente intenso, seppur fugace, che Draco rivolse ad Hermione, fu più che sufficiente per far arrossire la riccia a tal punto da costringerla ad intervenire a sua volta.
-Harry, non__- cominciò, allungando una mano per afferrare il braccio dell'amico; lui, però, la scostò gentilmente e si fece avanti, tendendo una mano a Malfoy.
-Andata.-
Diana, dal canto suo, rovesciò indietro la testa, esasperata.
-Ma perché, perché non mi dà mai retta nessuno in questo posto!?-


Harry, che per correttezza si era fatto prestare la Nimbus Duemila Uno da Coote in modo da non essere avvantaggiato su Malfoy, montò in sella con un gesto nervoso che tradiva tutto il suo disprezzo nei confronti dell’avversario in verdeargento.
-Si ammazzeranno.- gemette Diana, guardandoli con qualcosa di molto simile ad esasperazione mentre, con il resto delle due squadre ed Hermione, si avvicinava al bordocampo per stare lontano dai due Cercatori in cerca di guai.
-Pazienza. Ci saremo liberati di un grosso, sfregiato problema.- ridacchiò Blaise alle sue spalle che, approfittando dell’attenzione del resto delle due squadre tutta su Potter e Malfoy, le si era avvicinato.
La ragazza si voltò di scatto, assottigliando gli occhi con tanta veemenza da riuscire quasi ad inquietarlo.
-Sei un idiota.- sibilò, ma Blaise la ignorò e alzò lo sguardo verso i due Cercatori già in volo, mentre Hermione sollevava il coperchio del vasetto e lasciava andare il Boccino d’Oro.
Nonostante il buio, nonostante Blaise, nonostante tutto, Diana – scorrettamente, d'accordo, ma chi su quel campo si sarebbe comportato correttamente in una situazione del genere!? – si concentrò su un movimento strano compiuto da Draco e, quasi subito, cercò di reprimere una colorita bestemmia dallo scandalizzare tutti quanti: Draco aveva la bacchetta infilata nella manica della divisa e, dal suo ghigno, poteva essere sicura che l'avrebbe usata molto presto.
Cacciò una mano in tasca, armandosi della propria: non avrebbe permesso ad un imbecille come Draco di essere tanto scorretto in una gara contro l'altro imbecille, non se lei avesse potuto far qualcosa per evitarlo... ma, nonostante le sue buone intenzioni, si ritrovò a lasciarsi sfuggire la bestemmia appena trattenuta quando una stretta familiare le tirò delicatamente il braccio dietro la schiena, bloccandola, e le sfilò la bacchetta dalle dita.
-I Grifondoro non dovrebbero essere modelli di correttezza, mia cara?- le sussurrò morbidamente fra i capelli quel dannato bastardo di Blaise Zabini, sentendola rabbrividire a quel tocco accennato ed irrigidirsi un istante più tardi – non era certo, però, che fosse solamente l’attrazione fisica a causare quella reazione e non un qualche repentino istinto omicida…
-Non sai proprio affrontarmi faccia a faccia, vero?- grugnì lei in risposta, strattonando senza successo il braccio nel tentativo di liberarsi di lui.
Maledetto imbecille!
-Preferisco di gran lunga prenderti alle spalle.-
Il suo sussurro, caldo e sensuale, le accarezzò la pelle con delicatezza, scatenando un brivido nelle profondità della sua carne e della sua mente che, insidiata ed avvinta alla promiscuità seducente e perversa di quel ragazzo, si perse in fantasie di grovigli di mani e di corpi, di unghie piantate nel proprio corpo e di spinte possenti, di lenzuola fra i denti e di carezze proibite.
-Ti piacerebbe.- replicò, piccata, ma Blaise ridacchiò quando si accorse della titubanza che echeggiava nelle sue parole orgogliose – forse non le sarebbe dispiaciuto essere davvero presa alle spalle, dopotutto...
-Lasciala subito, Zabini!-
Blaise sospirò, seccato, alzando di malavoglia lo sguardo e rivolgendo la sua espressione più disgustata ad Harry Potter: lo Sfregiato aveva notato Blaise vicino alla sua amica e, da prode cavalier servente qual'era, aveva dimenticato la sfida fra lui e Malfoy e si era diretto verso di loro, rimanendo a mezz'aria a non più di un paio di metri dai due.
-Oh, che carino, hai un ammiratore!- commentò Blaise, divertito, abbassando lo sguardo su Diana che, prevedibilmente, si stava mordendo le labbra per impedirsi chissà quale reazione istintiva e sicuramente eclatante. -Non ti senti lusingata dalle attenzioni dello Sfregiato, Diana?- la punzecchiò, sperando di infastidirla almeno quanto, in quel momento, si accorse di essere lui: insomma, poteva sopportare tutto, ma non che proprio lo Sfregiato decidesse di ronzare attorno alla sua donna con quella stupida Firebolt e quella stupida divisa rossa.
Purtroppo – per lui – Diana era molto brava a capire i pensieri delle persone, specialmente quando si trattava di lui. Quasi la vide sorridere malignamente quando, con un tono altezzoso che non le apparteneva, gli rispose a tono.
-Più dalle sue che dalle tue, a dire il vero.-
E poi fu fulminea.
Blaise riuscì solo a cogliere il movimento indistinto dei suoi capelli e delle sue spalle prima che, con una torsione rapidissima, Diana riuscisse a disimpegnare la sua stretta e ad afferrare la propria bacchetta che lui ancora stringeva in pugno, puntandogliela dritto contro al petto.
E fu certo, stavolta, di averla vista sogghignare.
Un istante più tardi, dolorante e confuso, si ritrovò lungo disteso sul prato ghiacciato del campo da Quidditch mentre, sopra di lui, intravide Draco rischiare il collasso per non scoppiare a ridere davanti a quella scena.
Quella piccola carogna stava cominciando a prenderci troppo gusto nel mandarlo a gambe all’aria.
Si rialzò, dolorante, proprio mentre Potter atterrava vicino a Diana e le chiedeva, preoccupato: -Tutto bene, Di?-
-Ci mancherebbe altro!- fu la rispostaccia irata che lei gli diede, segno che, ormai, la sua pazienza era arrivata agli sgoccioli. Infatti, mentre Blaise contava fino a cento in francese almeno tre volte di seguito per impedirsi di Schiantare Draco e di uccidere Potter, lei si rassettò la divisa e afferrò la propria borsa, scoccando a tutti i presenti uno sguardo esasperato. -Mi sono stufata. Arrangiatevi tutti quanti, io me ne vado!-



Quando Blaise la raggiunse, una mezz'oretta più tardi, in quell'angolino nascosto vicino alle serre dove avevano preso l'abitudine d'incontrarsi, Diana stava ancora ridacchiando, appoggiata al tronco di uno strano arbusto dall'aria, per fortuna, innocua.
-Tutto questo non è divertente.- le fece notare, seccato, abbandonando la scopa e la borsa in cui aveva appallottolato la divisa da Quidditch per terra e avvicinandosi a lei, incrociando le braccia e fissandola con quella che assomigliava molto a pura disapprovazione.
-Lo è, invece.- singhiozzò lei, facendogli una pernacchia. Oltraggiato, Blaise si avvicinò ancora, fino a quando non riuscì ad avvertire il calore emanato dal corpo della ragazza che, tutt'altro che intimorita dalla sua espressione scocciata, allungò le braccia per accoglierlo contro di sé, stringendosi a lui.
-Non avrei mai immaginato che il Prescelto fosse tanto protettivo.- le borbottò il ragazzo all'orecchio, ancora immusonito, incapace però di resistere alla continua tentazione che Diana rappresentava per lui: le infilò le mani fredde sotto la giacca ed il maglione, strappandole un sussulto, abbassando la testa per baciarle languidamente il collo.
-Non sarai geloso di Harry, vero?- lo canzonò bonariamente lei, lottando contro le mani tentatrici del suo compagno per sfuggire a quella presa che desiderava più d'ogni altra cosa al mondo; fu però con arrendevolezza, vinta dal desiderio bruciante che le consumava l'animo ogni volta che si trovava lontano da lui, che si lasciò ghermire ed intrappolare fra quelle braccia, sospirando – respirando per la prima volta da quel mattino – nel momento stesso in cui le labbra del ragazzo le lambirono la gola. -Ho uno standard un poco più alto, io… non di molto, ma se non altro la vista è migliore.- aggiunse, ridacchiando, ma la sua risata si spense in un mugolio di piacere quando i denti di Blaise le strinsero un lembo della sensibile carne del collo in un inequivocabile gesto d'avvertimento.

Infilò le mani in quei capelli lunghi e morbidi, incastrandovi le dita e tirandoli appena, costringendolo a guardarla: sorrideva, Diana, sorrideva di quel sorriso luminoso e particolare che – Blaise lo sapeva – apparteneva soltanto a lui. -E poi… le tue sono le uniche attenzioni che voglio.-

domenica 12 gennaio 2014

Capitolo 13

Nei giorni che seguirono, Diana e Blaise ebbero tutto il tempo di imparare a conoscersi almeno quanto avevano imparato ad amarsi.
Mancavano ancora alcune giornate al rientro del resto della scolaresca. Grazie alla prontezza dei difensori di Hogwarts l’attacco dei Dissennatori era rimasto pressoché invisibile ai più, soprattutto dopo che i professori McGrannitt e Piton si erano sincerati di modificare la memoria di tutti coloro che, a Hogsmeade o nei dintorni, avevano visto o avvertito l’arrivo di quelle bestiacce.
Draco ed Hermione, avvisati dallo stesso Severus Piton con estrema discrezione, erano tornati al castello un paio di giorni dopo l’attacco: Hermione aveva stretto convulsamente a sé l’amica, spaventata da ciò che avrebbe potuto succederle e facendole una lavata di capo per l’insensataggine con cui aveva gestito l’intera battaglia. Draco, al contrario, si era complimentato con lei per l’ottimo lavoro svolto, prima di sogghignare e chiedere a Blaise, con estremo tatto, se il suo regalo di Natale si fosse rivelato utile.
Lea, tutt’altro che propensa all’idea di allontanarsi dal castello dopo quanto era successo, aveva immediatamente trovato una profonda affinità con la riccia Grifondoro: dopo qualche giorno, infatti, sembrava che fossero amiche da secoli – con enorme sgomento di Diana, che mai avrebbe pensato di trovarsi a doversela dare a gambe davanti a quelle due quando si mettevano in testa di farle fare i compiti.
Silente aveva permesso a tutti loro di stabilirsi, per quei pochi giorni di vacanza rimasti, nella Torre dei Grifondoro: ed aveva anche consigliato a Diana di operare qualche piccolo cambiamento al dormitorio che, sicuramente, Lavanda Brown e Calì Patil non avrebbero disdegnato e che avrebbe potuto attribuire ad una delle tante bizzarre scelte del loro bislacco Preside.
Così, approfittando di una mattina in cui Draco era sceso presto con Hermione per fare colazione, la giovane Black si era rimboccata le maniche, si era concentrata sui propri poteri ed aveva fatto sì che le pietre di Hogwarts le dessero ascolto: i muri, obbedienti, si erano allargati e modellati secondo il suo volere, chiudendosi attorno ai singoli baldacchini per creare, dietro consiglio di Lea, quattro stanzette singole, ognuna dotata di finestra e di un piccolo armadio incassato nella roccia.
Quella sera, dopo aver cenato tutti insieme e aver atteso che le tre ragazze fossero immerse in una lunga discussione su una qualche saga di romanzi recentemente letta, Draco prese da parte Blaise, ben deciso a capire fino a che punto lui e Diana fossero arrivati.
-Allora?- gli chiese, senza troppi preamboli, sorseggiando distrattamente il vino elfico che si era portato dietro da villa Malfoy.
Blaise, ostentando noncuranza, gli sottrasse la bottiglia e si versò elegantemente un bicchiere bello colmo, accennando sarcasticamente un brindisi all’amico.
-Allora cosa?- gli chiese, in faccia quell’espressione da schiaffi che Draco tanto non sopportava.
Il biondo inarcò un sopracciglio, infastidito, lanciando un’occhiata eloquente alla bruna americana che stava, in quel momento, descrivendo animatamente una sequenza del suo libro preferito.
-Non prendermi per cretino, eh.- gl’intimò, notando che Blaise aveva seguito il suo sguardo ed aveva sorriso nell’incrociare la figura della giovane Black.
-Vuoi sapere di me e Diana, no? Beh, lo vedi da te.- il moro si strinse nelle spalle, soddisfatto, gustandosi appieno il sapore dolce e speziato del vino – gli ricordava Diana, quel sapore.
Negli ultimi giorni lui e Diana avevano parlato a lungo, aprendosi come nessuno dei due aveva mai fatto in tutta la vita; un po’ a fatica, un po’ grazie al sostegno di Lea, la giovane gli aveva raccontato come aveva trascorso gli ultimi cinque anni della propria vita, della carriera in Accademia, delle missioni – di Scott, di Dan, del motivo per cui Voldemort li aveva uccisi e dello spaventoso baratro in cui era sprofondata dopo la loro morte.
Se non altro, aveva commentato amaramente Diana, lei aveva avuto una famiglia.
Blaise non aveva mai conosciuto il proprio padre, morto quando lui aveva appena due anni; Zephira Zabini, nata Lestrange, non si era mai particolarmente curata dell’unico figlio, preferendo lasciare a balie e nutrici il compito di crescerlo. Blaise aveva passato tutta la vita negli agi, beneficiando dei matrimoni di convenienza della propria madre e delle cospicue fortune che da essi derivavano, ma non aveva mai conosciuto il calore e l’affetto di un genitore.
L’amicizia fra lui e Draco Malfoy esisteva praticamente da sempre; erano cresciuti insieme, lui e Dray, e Narcissa era stata una madre affettuosa non soltanto per il figlio, ma anche per il bambino taciturno e dalla lingua tagliente che si scioglieva un poco soltanto in compagnia di Draco.
Ad Hogwarts, Blaise era stato capace di aprirsi appena, stringendo amicizia con la spigliata Pansy Parkinson; grazie a lei, giovane ed impertinente donna paragonabile ad un vulcano in eruzione perenne, Blaise era riuscito ad entrare nel giro della nicchia ristretta dei giovani più invidiati della scuola.
Eppure, nonostante la fama e, successivamente, il successo con il gentil sesso, Blaise non era mai stato in grado di trovare una donna che riuscisse a farlo sentire completamente, totalmente se stesso.
Sino ad ora.
Era stato difficile per entrambi permettere all’altro di entrare nelle proprie paure, abituati com’erano, sin da bambini, a cavarsela per conto proprio; ma si erano fatti coraggio a vicenda, Blaise e Diana, e parlare non era più stato così difficile.
Il moro si riscosse, scacciando a malincuore il ricordo di un paio d’ore particolarmente piacevoli passate nella Foresta assieme a Diana, in fuga da quella Torre sovraffollata.
-So tutto, se è questo il tuo dilemma. E non mi cambierà la vita.- assicurò all’amico, sentendosi più sincero, in quel momento, di quanto non fosse stato in tutta la propria vita; forse, e ne era quasi certo, aveva accettato la vera identità di Diana molto più di quanto facesse, tuttora, lei stessa.
Draco osservò l’amico, pensieroso.
-O sei molto perso, o sei completamente pazzo.- fu il suo laconico giudizio ma, in cuor suo, aveva scorto in Blaise una serenità del tutto nuova, la stessa che aveva trasformato la solitamente ombrosa Diana in una giovane esuberante e desiderosa di vita.
Blaise, a quell’affermazione, sorrise.
-Probabilmente entrambe le cose.-

§

Blaise sospirò, il sorriso che scivolava lentamente sulla spalla candida di Diana, i denti che ne delineavano il profilo in una suadente scia di morsi e carezze.
-Silente non mi dispiace, ma posso definire le sue ultime scelte alquanto “discutibili”?- mormorò su quella pelle morbida, lasciando scorrere la punta dell’indice lungo quel profilo curvo e perfetto che aveva scoperto di adorare.
Diana sospirò, rapita, abbandonando languidamente la testa all’indietro e offrendogli libero accesso alla propria gola con quella che Blaise poteva definire solamente una totale, spudorata sensualità.
Il giovane incurvò le labbra, soddisfatto, impossessandosi di quel collo con ingordigia ed aggredendolo coi denti e con la bocca carnosa, esperta, disegnando una scia di tracce umide e rossastre su quella pelle d’alabastro.
Ridacchiò nel sentirla gemere, scendendo a racchiudere fra le dita quelle natiche sode ed invitanti – facendola brontolare, indispettita, perché entrambi sapevano benissimo di non potersi concedere ciò che Blaise le stava ardentemente proponendo.
La sala comune dei Grifondoro, entro una manciata di minuti, si sarebbe riempita di irritanti Prescelti e gingers nati con l’unica funzione di rompere le scatole a quel povero, sciagurato Serpeverde che desiderava soltanto scatenare il vivace appetito sessuale della propria donna in santa pace.
Diana, perfettamente conscia di quanto lui la stesse torturando, si costrinse a riassumere un minimo di decenza e lo scostò da sé, spingendolo contro lo schienale della poltrona dove quell’idiota di ragazzo si era beatamente abbandonato qualche minuto prima. Si riallacciò i bottoncini della camicetta bianca, a malincuore, senza però scacciare il tocco di lui dalle proprie natiche o scoraggiare lo sguardo ingordo che il giovane dedicò al suo seno tonico.
Gli rivolse una smorfia, sistemandosi la gonna: stava decisamente comoda in braccio a lui, doveva ammetterlo, ma quella era una posizione decisamente poco casta e presto la sala comune non sarebbe più stata così sicura per loro.
Lasciò scivolare una gamba su quelle di lui, accoccolandosi in una posa un poco meno esplicita contro il suo petto e sentendolo sbuffare, contrariato, quando gli impedì di infilare le dita sotto la stoffa pesante della divisa.
-Blaise, il mio compito è proteggere Harry. Come posso farlo se lui è lontano dal castello?- si decise a spiegargli, paziente, prendendolo con due dita per il mento sottile e costringendolo a guardarla negli occhi.
-Può proteggerlo chiunque altro, non sei la sua balia.- mugugnò lui in risposta, cercando di non sorridere quando Diana, dolcemente, gli accarezzò la guancia ruvida.
-No, però sono la sua sorellastra adottiva e lui neanche lo sa. Ha bisogno di essere protetto da se stesso, e nessun adulto può farlo.- replicò, conscia che coccolarlo era il modo più efficace per rabbonirlo, allungandosi come un gatto fra le sue braccia per lasciargli un soffice bacio all’angolo della bocca.
-Mi chiedo perché quel dannato Prescelto si ostini ancora a respirare.- si limitò a mugugnare lui, ancora indispettito; ma Diana rise, soddisfatta, quando lui le catturò le labbra in un bacio che riuscì a cancellare il pensiero di Harry Potter dalle menti di entrambi.


Albus Silente aveva richiamato ad Hogwarts Harry e Ron in tutta fretta, insieme ad almeno la metà dell’Ordine della Fenice – che si sarebbe insediata ad Hogsmeade. Era sua convinzione, e Diana la condivideva appieno, che Harry sarebbe stato più al sicuro assieme a lei, dove i poteri pressoché infiniti della giovane Auror avrebbero potuto proteggerlo, piuttosto che in un luogo sperduto e lontano come Casa Weasley.
-Diana!- esclamò Harry Potter, scorgendo l’amica, Hermione e una ragazza che non conosceva sulla soglia del portone, mentre lui e Ron trascinavano i pesanti bauli lungo il vialetto d’accesso.
La bruna rise, correndogli incontro ed abbracciandolo con uno slancio che lo sorprese enormemente, tanto si era abituato alla freddezza e al distacco che Diana aveva dimostrato di possedere da quando la conosceva.
-Tutto bene? Come ti senti?- le domandò, staccandosi un poco da lei per studiarla: sembrava in forma, in effetti, più di quanto non fosse mai stata.
Lei rise, arruffandogli i capelli neri, gli occhi d’argento che riverberavano della luminosità della neve.
-Sto benissimo. Davvero!- esclamò davanti al sopracciglio inarcato dei due amici ed abbracciando anche Ron, dopo averlo districato da Hermione.
Lea, che le aveva seguite, arrossì quando l’amica la tirò avanti, costringendola a farsi vedere dai due ragazzi.
-Harry, Ron, vi presento Lea Artesia. È venuta dagli USA per stare un po’ con me.- la presentò Diana, vedendo gli occhi azzurri di Ron accendersi nel notare quanto carina fosse la nuova arrivata. -Lea, non ti emozionare: questi sono Harry Potter e Ronald Weasley.- aggiunse, sarcastica, guadagnandosi una smorfia da parte di Harry.
-Ehm… piacere.- mormorò lei, imbarazzata, stringendo la mano ad entrambi.
Ron si esibì in un sorrisone quasi eccessivo quando lei lo guardò, abbassando appena la testa in un accenno di inchino.
-Il piacere è tutto mio, davvero! Sono__- cominciò lui, ma Diana – che aveva la vista più acuta di quanto lui potesse sapere – gli allungò un calcio sullo stinco che lo fece inciampare e rovinare a terra.
-__caduto.- terminò al suo posto, divertita, mentre Lea accorreva per dare una mano al rosso e lei, Harry ed Hermione si scambiavano l’occhiata complice di chi la sapeva estremamente lunga.


Come previsto da quei tre pettegoli, Ron e Lea andarono immediatamente d’accordo: l’indole introversa della riccia ben si accordava con il carattere un po’ goffo ed esplosivo del rosso, e più di una volta li videro immergersi in lunghe conversazioni da cui, evidentemente, solo lo scoppio di una guerra in piena regola avrebbe potuto strapparli.
Hermione e Diana, per fortuna, erano riuscite a ritagliare qualche notte assieme ai rispettivi compagni Serpeverde, adducendo la scusa di essersi addormentate in biblioteca per rimettersi in pari coi compiti che, visto l’attacco dei Dissennatori alla scuola, non erano riuscite a finire – per quel che riguardava Diana, perlomeno, quella era una sacrosanta verità.
Fu proprio la mattina dopo una di queste notti, passate a perdersi nei sublimi piaceri delle più carnali passioni, che Diana ed Hermione salirono di corsa in Sala d’Ingresso, ringraziando mentalmente la ressa creatasi dal ritorno dalle vacanze degli studenti di Hogwarts.
Spintonando e sgomitando per farsi spazio, cercarono di avvicinarsi ad Harry e a Ron, che avevano intravisto fermi sulle scale ad attendere l’arrivo di Ginny, Neville e Luna Lovegood; mentre si facevano largo, però, Diana vide una familiare e detestata chioma biondo-argentea superarla, diretta in direzione opposta alla sua.
-Oh, tu guarda, è arrivata la principessina sul pisello.- commentò caustica, riconoscendo la figura snella e slanciata di Daphne Greengrass nella ragazza che camminava altezzosamente fra gli studenti rumoreggianti, pestando elegantemente i piedi di chi osava dimenticare di farle spazio.
-Dove il concetto cardine della frase è proprio il “pisello”, giusto?- fu la risposta inaspettata di Hermione, che sgranò gli occhi e arrossì nello stesso attimo in cui comprese che cosa aveva appena detto.
Diana, al contrario, ridacchiò e le scoccò un’occhiata fiera.
-Hermione, stare con Draco ti sta facendo diventare una pervertita.- si complimentò, orgogliosa, ma il suo sorriso morì quando vide inorridire l’amica, che teneva gli occhi fissi alle sue spalle. -Ma che…- cominciò, voltandosi nonostante la riccia avesse tentato di fermarla… e impallidì, mentre la serenità che aveva conquistato in quelle settimane scivolava via da lei come acqua sul ghiaccio. -…Oh.-

-Puoi tenerti la tua puttanella, Zab, ma ricorda bene chi è che mi ha scelta per te. Non ti conviene deluderlo, no?-
Le parole che Daphne gli aveva sussurrato all’orecchio erano state sufficienti per farlo impietrire.
L’Oscuro Signore aveva scelto, più di sedici anni prima – quando il suo potere era pressoché illimitato e le schiere dei Mangiamorte infinite –, quali figli dei suoi fedelissimi avrebbero dovuto accoppiarsi, in modo da mantenere puro il sangue delle stirpi da cui erano stati generati.
Aveva sempre cercato d’ignorare quel pensiero, quella consapevolezza, sapendo che né lui né Daphne avevano mai provato altro che attenzione fisica nei confronti dell’altro: eppure adesso, con quel pensiero cristallino davanti e la consapevolezza che Daphne sapesse di Diana, l’unica cosa che aveva potuto fare era stata baciarla in quel modo plateale, quasi esagerato, in modo che la bionda potesse ribadire qualcosa che lui non poteva impedire.
Quando si separarono, però, Blaise ignorò l’espressione di palese soddisfazione della ragazza, cercando con lo sguardo la figura di Diana appena in tempo per vederla sparire su per le scale in uno svolazzo di vesti nere e rosse.
Fece per muoversi, intenzionato a seguirla, ma una stretta ferrea eppure familiare lo bloccò; si voltò, guardando estremamente male Draco Malfoy, ma l’amico scosse la testa.
-Sarebbe una pessima mossa.- disse solo, tirandoselo dietro verso il sotterraneo Serpeverde.

Come una bestia rinchiusa in gabbia, la giovane Diana Black girò per l’ennesima volta su se stessa, ripercorrendo nuovamente l’intera lunghezza del corridoio dell’ultimo piano che aveva già attraversato almeno sei volte.
Stupida.
Digrignò i denti, sfregandosi violentemente gli occhi per impedirsi qualsiasi reazione di debolezza. Lanciò un’occhiata malevola verso l’abitante di un quadro che la stava fissando, sorpreso, da qualche minuto, ricominciando poi il suo andirivieni angosciato.
Ingenua.
Certo, avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto capirlo: Blaise Zabini non era altro che un ragazzino, e lei aveva sbagliato – accecata com’era stata dal suo stupido fascino – a fidarsi di lui, a permettergli di arrivarle così vicino…
Sciocca.
Aveva affidato a quell’idiota il suo segreto, dannazione! Come aveva potuto essere tanto fiduciosa – proprio lei, dopo tutto quello che aveva passato? Non aveva ancora imparato a tenere la bocca cucita e il cuore ben chiuso sotto chiave?
No, lei aveva voluto credergli, aveva voluto sperare! Ed ora il figlio di una Mangiamorte girava tranquillamente per Hogwarts, a conoscenza di cose che… di realtà che…
“…ma chi voglio prendere in giro?”
Si fermò di botto, furibonda con se stessa, serrando i pugni e le palpebre per tentare di contenere la propria furia.
Stava davvero cercando di convincersi che tutta quell’ira fosse causata solo da quel pensiero, solo dalla consapevolezza di aver messo in pericolo i suoi segreti? Voleva veramente mentire a se stessa fino a quel punto?
Oh, andiamo, si disse, scuotendo i lunghi capelli neri e lasciandosi sfuggire una colorita bestemmia che strappò un’indignata replica da parte del quadro di poco prima.
Lei non ci aveva nemmeno pensato, a quello.
Non le era nemmeno passato per l’anticamera del cervello quell’idea, quei problemi che si stava ripetendo ossessivamente da diversi minuti per giustificare la propria rabbia: vedere quella vacca maledetta della Greengrass addosso a Blaise non le aveva fatto capire di aver messo in pericolo un’operazione di portata mondiale che poteva significare la fine di una guerra o la definitiva distruzione della società magica… no.
Lei si era sentita tradita.
Imprecò di nuovo, sentendo lo stomaco contrarsi e il petto dolerle; si appoggiò alla parete di pietra, sconsolata, senza riuscire ad impedire ai propri occhi di bruciare.
Come aveva potuto credergli?
Si era fidata di lui… gli aveva permesso di vedere al di là delle proprie maschere, delle proprie mura, delle proprie difese, gli aveva dato libero accesso al proprio passato e alle proprie paure – “Dannazione, Diana, perché lo hai fatto?”
Aveva davvero creduto… aveva davvero sperato che fosse tutto vero, che lui fosse davvero lì con lei, che per una sola volta qualcosa fosse andato per il verso giusto…
Con uno scatto, la giovane donna balzò in piedi, animata da una furia del tutto nuova.
Si era comportata come la più infantile delle ragazzine.
Lei, proprio lei – addestrata dal fato e dalla necessità ad essere adulta, seria, consapevole – si era lasciata abbindolare da quei maledetti occhi verdi, da quel sorriso, da quel calore…
-DANNAZIONE!- strillò, furiosa, e prima di potersi fermare il suo pugno scattò in direzione della parete, provocando uno schiocco agghiacciante quando il pezzo di roccia che lo componeva s’incrinò sotto il peso della sua magia.
Sentì le nocche bruciare quasi immediatamente, ma il dolore acuto che le arrivò al cervello giunse come una benedizione. Quella sofferenza meramente fisica era più facile da affrontare, non toccava niente d’importante, il corpo si poteva guarire in fretta… ma l’anima? La mente? Quanto avrebbe impiegato per rimettere insieme i pezzi di quel qualcosa che non era nemmeno ancora riuscita ad aggiustare del tutto?
E pensare che si era… che lei si era… di lui…
“NO!”
Odiandosi come non mai, Diana tirò un altro pugno alla parete, provocando un’altra crepa.
Non doveva nemmeno pensarla, quella cosa; non doveva ammetterla con nessuno, non doveva rendersene conto, se lo avesse fatto l’avrebbe distrutta…
-Dannazione, Blaise…- mugolò, arrendendosi davanti all’evidenza e abbandonandosi contro al muro spezzato, chinando la testa davanti a quel dolore troppo intimo e atroce perché lei potesse esorcizzarlo facendosi del male o nascondendolo dietro quelle mezze verità.
Faceva male.
Faceva così tanto male da farle capire che non sarebbe riuscita a liberarsene facilmente.
Avrebbe pianto, se ne fosse stata in grado, ma l’orgoglio che la caratterizzava da sempre non avrebbe mai potuto permettere un ennesimo affronto di tale portata – no, lei non avrebbe dato quell’amara soddisfazione a se stessa e a quel maledetto, avrebbe tenuto per sé i cocci di ciò che lui aveva rimesso insieme e si sarebbe trincerata dietro il muro di gelo e cupezza che l’avevano accompagnata sin da quando aveva messo piede ad Hogwarts.
Sarebbe stata più forte del dolore, ancora una volta: non si era lasciata distruggere dalla morte di Dan e di Scott e, sicuramente, non sarebbe stato Zabini a portarla un’altra volta sull’orlo del baratro.
Ricorda chi sei, Diana Black.
Prese un respiro profondo, fissando trucemente il pavimento che intravedeva fra le ciocche di capelli scuri che le ricadevano attorno al volto chino.
Ricorda chi sei.
Lei era la Regina, colei che riuniva in sé i poteri dei cinque Elementi, della Luce e del Buio, l’ultima donna a portare il nome dei Black.
Lei era un potentissimo ago della bilancia, che poteva determinare la sopravvivenza o la morte di migliaia di vite umane con un mero battito di ciglia.
Lei era un’Auror, addestrata per combattere fino all’ultimo respiro, e si trovava lì per proteggere colui che significava la speranza di un mondo intero.
Lei era una soldato, un’arma, una guerriera.
Lei era Diana Black, e non sarebbe stato Blaise Zabini a spezzarla.
Prese fiato ancora una volta e poi un’altra ancora; si costrinse a calmarsi, a spingere in fondo alla gola il dolore che la ostruiva, serrando le dita sulla roccia crepata per appropriarsi della calma pacata ed infinita che sentiva vibrare sotto i polpastrelli.
Non doveva lasciarsi andare, non poteva.
Doveva essere forte, ora, doveva accantonare quelle stupidaggini stucchevoli e melense e darsi da fare per sistemare i danni che aveva combinato prima che divenissero irreparabili.
Non poteva.
Armata di quella nuova risolutezza, Diana alzò lo sguardo e si tirò indietro i capelli, facendo altri lunghi respiri per calmarsi definitivamente e riprendere il controllo sulle proprie emozioni.
Avrebbe rimesso tutto a posto.
Sarebbe bastato un buon incantesimo e tutto sarebbe tornato al proprio posto; avrebbe dovuto modificare lievemente anche i ricordi dei suoi amici, ma certo avrebbero capito quanto si trattasse di una situazione del tutto straordinaria… ma Lea no, a Lea avrebbe permesso di ricordare, di lei poteva fidarsi ciecamente.
-Ti sei sfogata, adesso?- le domandò una voce conosciuta, e Diana si concesse un breve sbuffo divertito: Lea Artesia giungeva sempre al momento giusto, e lei avrebbe dovuto ricordarlo.
-No.- rispose, sincera con l’amica americana come non sarebbe mai stata con nessun altro; si ricompose, allungando una mano per accarezzare con dolcezza e dispiacere le spaccature che aveva aperto nella parete, risanandole con il delicato tocco delle proprie dita.
Hermione doveva averla avvertita, oppure Lea aveva percepito il mutamento di temperatura che aveva coinvolto l’intero castello e, probabilmente, anche Hogsmeade: sebbene i poteri di Diana fossero momentaneamente smorzati da una briglia che lei stessa si era fatta imporre, la sua presenza era talmente preponderante per gli Elementi che essi rispondevano comunque alle sue emozioni, incupendo il Sole e gelando l’aria nella zona in cui lei si trovava.
Capitava anche nel Limbo, rifletté Lea, studiando la mora mentre riparava i danni che aveva causato a quelle povere pietre innocenti. Diana stava cercando di nascondere tutto persino a se stessa: era tipico di lei, da quando si erano conosciute Lea aveva avuto moltissime occasioni per vedere quel meccanismo di autodifesa entrare in azione nella psiche di Diana…
-Devo cancellargli la memoria.- sbottò improvvisamente la Black, facendo sobbalzare l’altra.
-Perché?- esalò Lea, sbigottita: sì, Blaise poteva aver fatto un disastro, ma cancellargli la memoria non era un tantino eccessivo!? Diana non poteva andare da lui e parlare come chiunque altro avrebbe fatto in una situazione del genere!?
Lea trattenne un’imprecazione, scoccando intanto all’amica uno sguardo di profondo rimprovero: non doveva mai dimenticare quanto Diana non fosse mai stata come “chiunque altro”… e che aveva proprio un carattere di merda.
-Perché ho sbagliato a fidarmi di lui, e non posso permettere che le informazioni di cui l’ho messo a parte vadano in giro fra i compari Mangiamorte di sua madre.- fu la spiegazione lapidaria e sbrigativa che Diana le diede, ma la riccia sbuffò di nuovo.
-Stai esagerando, Di.- le fece notare, piano, sapendo però quanto fosse inutile parlarle quando si comportava in quel modo: Diana non avrebbe ascoltato nessuno, ora – era troppo arrabbiata, troppo ferita, troppo innamorata.
-Non sto esagerando!- lo strillo che eruppe dalle labbra livide della mora fu, per l’altra, solamente una conferma di quanto quell’atteggiamento misurato e distaccato fosse solamente una maschera dietro cui, come già in passato, Diana si stava trincerando per sfuggire alla realtà.
La mezz’indiana fece un passo avanti, avvicinandosi con cautela all’altra ragazza; Diana la lasciò fare, anzi, forse nemmeno se ne accorse, perché quella breve esplosione di nervosismo aveva sfiorato un nervo scoperto e, adesso, doveva assolutamente rimettersi in sesto prima di lasciar uscire__
-Ho sbagliato. Ho sbagliato su tutta la linea, di nuovo.- sussurrò, odiandosi per la propria debolezza, sottraendosi al tocco di Lea prima che l’amica la sfiorasse: non l’avrebbe sopportato – Lea era calda e viva, e la sua vicinanza avrebbe potuto sciogliere le sue mura di ghiaccio…
-Diana__- cominciò la riccia, ma lei scosse la testa e la zittì.
-Non ho tempo, Lea.- la redarguì, ripetendosi ancora una volta quanto lei – la Regina, l’Auror, Diana Black – non potesse permettersi un affronto tale nel proprio orgoglio. -Scendi al dormitorio dei Serpeverde e dì a Blaise…- s’interruppe un istante per respirare a fondo, cercando la forza di pronunciare quelle parole che avrebbero definitivamente condannato all’oblìo ciò che aveva creduto di poter ricostruire con Blaise.
È meglio così.
-…digli di venire nella Stanza delle Necessità.- terminò, distogliendo lo sguardo dal volto di Lea per evitare di scorgervi la disapprovazione che poteva quasi avvertirla emanare.
-Cosa vuoi fare? Obliviarlo?- sbottò infatti l’amica, sarcastica, ma lei si limitò ad annuire.
-Esattamente.-


Quella era di sicuro la giornata peggiore che avesse mai avuto.
Blaise Zabini inghiottì una colorita imprecazione, ripetendosi che bestemmiare dinanzi ad una ragazza non sarebbe stato elegante, limitandosi a rivolgere a Lea Artesia uno sguardo sfinito.
-Dammi un motivo valido per non lasciare che Diana ti cancelli la memoria.-
Un sorriso amaro gli piegò le belle labbra in una smorfia piena di dolore.
Diana sapeva essere davvero determinata, in casi come quelli: probabilmente era una qualità che, come Auror, le aveva fatto comodo diverse volte… ma non avrebbe funzionato con lui, di questo era certo.
-Ho dovuto farlo, Lea.- sospirò, ripetendo quelle parole per l’ennesima volta; Lea aggrottò le sopracciglia, scettica, ma Blaise la ignorò e si alzò dal proprio letto, cominciando a misurare il dormitorio verdeargento con lunghe falcate.
Perché diamine Diana non voleva affrontarlo?
Non avrebbe chiesto altro, voleva solamente un’occasione per parlarle e per spiegarle tutto – okay, non sarebbe stato facile e probabilmente nemmeno indolore, ma lui meritava almeno una possibilità, accidenti! Se avesse potuto scegliere di certo non avrebbe mai compiuto quel gesto!
Digrignò appena i denti, furibondo con se stesso, con Diana e con tutto il resto del mondo; Draco, che lo stava osservando in silenzio da quando aveva fatto entrare Lea, si rivolse alla ragazza.
-Non sta mentendo. Posso garantirtelo.- affermò, sorvolando sui motivi che avevano spinto Blaise ad agire in quel modo: a Lea non sarebbero interessati e non aveva bisogno di saperli perché, proprio come Diana, le sarebbe bastato guardarli in faccia per capire che non mentivano.
Come a volergli dare ragione, Lea li squadrò entrambi per una manciata d’attimi: aveva due occhi color nocciola estremamente espressivi, notò il biondo, quasi come se potesse scorgere ogni più piccolo anfratto delle loro anime semplicemente osservandoli…
All’improvviso, facendo sussultare tutti e due, la ragazza balzò in piedi e cominciò a frugare nelle tasche del giubbotto di jeans che indossava, traendo da una tasca interna una fialetta ricolma di un liquido ambrato ed estremamente denso.
-Bevi questa.- ordinò seccamente a Blaise, fermando il suo angosciato peregrinare per consegnargli il piccolo oggetto. -È una pozione in grado di annullare gli effetti di qualsiasi incantesimo di memoria.-
Il moro rimase in silenzio, stupito.
Una pozione che annullava gli effetti degli incantesimi di memoria.
Con quella avrebbe potuto affrontare Diana e la sua stupida decisione, rifletté, e sarebbe stato in grado di parlarle e dirle che era una sciocca permalosa e che si era trattato di un dannato malinteso; la pozione l’avrebbe tenuto al sicuro dalla testardaggine della mora e da qualunque tiro mancino.
Ma…
-No.- affermò, alzandosi repentinamente dalla poltrona in cui si era lasciato sprofondare e rassettandosi la veste, ravviando sulle spalle il mantello nero come il giaietto.
Diana lo avrebbe ascoltato, volente o nolente.
Rivolse un sorriso, forzato ma sincero, a Lea. Quella ragazza doveva essere davvero una persona speciale se era stata in grado di conquistarsi l’amicizia e la fiducia incondizionata di Diana, rifletté, comprendendo solamente in quell’istante quanto l’offerta di Lea fosse un chiaro esempio di quanto le fosse cara la serenità dell’amica.
Lea voleva che lui facesse ragionare Diana… e lui lo avrebbe fatto. A modo suo.
-Ti ringrazio, Lea, ma se Diana non vorrà ascoltarmi allora lascerò che faccia ciò che vuole.- la ringraziò – e fu certo di aver visto un sorriso soddisfatto balenare sulle labbra della riccia per un solo battito di ciglia.
-Sei impazzito!?- sbottò invece Draco, allibito. Stavano forse ammattendo tutti quanti, a Hogwarts!? -Non ricorderai più nulla degli ultimi giorni, e tu e lei non__-
-Se mi costringerà a farlo, la conquisterò di nuovo.- lo interruppe subito il moro, scoccando all’amico un’occhiata sicura che uccise sul nascere quelle proteste; Draco sussultò, scorgendo negli occhi familiari dell’amico una determinazione impressionante che aveva visto ardere solamente in un’altra persona: Diana.
Blaise era sicuro di ciò che stava facendo.
Non lo aveva mai visto rischiare così tanto, mettersi in gioco fino al punto di dover temere per la propria incolumità: Blaise era sempre stato un abile giocatore di scacchi e, come tale, non si era mai lasciato cogliere impreparato da una situazione e non aveva mai affrontato nulla senza qualche asso nella manica… eppure, adesso, sembrava spavaldo e temerario come non era mai stato.
Blaise era sicuro di ciò che provava.
Draco scosse la testa, lasciando cadere le proprie obiezioni e limitandosi ad un gesto vago della mano che strappò una smorfia divertita all’amico.
Lo avrebbe lasciato andare: se credeva così tanto nella propri sentimenti, se era davvero certo di potersi riprendere la fiducia della propria donna, chi era lui per fermarlo?


La Stanza delle Necessità era il posto ideale per nascondere qualcosa.
Diana inspirò profondamente, avvertendo un familiare pizzicore al naso nel riempirsi i polmoni di quell’aria satura di magia.
La Stanza delle Cose Nascoste – così l’aveva chiamata Ginny quando le aveva spiegato che cos’era la Stanza delle Necessità – era, in realtà, un’enorme sala dal soffitto a volta piena zeppa di tutto ciò che generazioni di studenti e professori vi avevano nascosto o abbandonato: quadri, mobili, vecchie scope, gabbie vuote, piume, libri e persino qualche pixie della Cornovaglia grasso ed impigrito.
C’era di tutto in quel luogo e, se non avesse avuto altri piani al momento, lei si sarebbe volentieri smarrita un po’ nel frugare in quei cimeli che avevano sicuramente molte storie e molti segreti da raccontare.
Poteva esistere un posto migliore per abbandonare una speranza, dei sentimenti, dei ricordi?
Prese un altro lento respiro, regolarizzando il battito del cuore, quando il suo udito fine colse il cigolio della porta d’ingresso spezzare il silenzio ovattato che riempiva quel luogo; costrinse il proprio corpo a flettersi, a tendere i muscoli del petto e del braccio, stringendo nervosamente la bacchetta di quercia fra le dita livide.
Dal punto in cui era, dove si era celata con un semplice incantesimo – avrebbe potuto piegare l’aria e la luce al proprio bisogno, rendendosi invisibile senza la bacchetta, ma aveva preferito evitare – intravide il profilo familiare delle spalle di Blaise Zabini; represse un brivido, continuando a respirare per non lasciarsi prendere dalla rabbia o dal dolore, ripassando mentalmente i processi mentali che avrebbe dovuto modificare nella memoria del ragazzo.
Blaise aveva raccolto i capelli in un codino basso, notò quando il ragazzo si avvicinò al punto in cui lei si trovava, sentendo lo stomaco rivoltarsi quando seppe per certo che non sarebbe mai più riuscita a guardarlo in faccia una volta compiuto il suo dovere – lei adorava quei capelli.
Si morse l’interno della guancia con forza, fino a che non sentì la bocca riempirsi del sapore familiare del sangue. Il dolore era in grado di tenerla presente a se stessa, di non lasciare che la sua mente vagasse verso quei pensieri che si era ripromessa di distruggere assieme ai ricordi del giovane – ma come avrebbe potuto vivere, lei, ricordando tutto quanto?
Sarebbe ammattita di certo… dimenticare tutto, spingere tutto quanto in fondo al vaso di Pandora che custodiva i suoi segreti più profondi, all’improvviso non le sembrò più così facile.
Come poteva dimenticare Blaise? Come poteva dimenticare la forza che le aveva sempre trasmesso la sua presenza, l’esistenza a cui lui l’aveva riportata senza darle scampo? Come poteva dimenticare la sicurezza nei suoi abbracci, il desiderio nei suoi baci, la vita nei suoi occhi?
Serrò le palpebre, Diana, odiandosi più di quanto non avesse mai fatto quando tutti i pensieri che credeva di aver represso le si rovesciarono addosso, stordendola.
Come poteva averle fatto una cosa del genere?
Lei si era fidata… si era fidata ciecamente di lui. Gli si era concessa non soltanto come donna ma come persona, come creatura magica e persino come amica: come poteva averla ferita a tal punto? Come poteva, dopo che lei gli aveva mostrato il lato più oscuro e fragile di sé, averle inferto una pugnalata del genere?
Quando aveva visto il Patronus di Blaise assumere la forma di un lupo – la forma che aveva sempre avuto quello di lei –, quando si era resa conto del mutamento del proprio, aveva davvero creduto che le cose sarebbero andate bene per loro…
…i Patronus non mentivano, però.
Un Patronus altro non era che la materializzazione di tutto ciò che esisteva di positivo e di prezioso in una persona: il Patronus di Harry era un cervo, l’animale in cui si era trasformato il padre; quello di Scott era stato una volpe, il totem del genitore che aveva perduto; il suo, invece, era sempre stato un lupo… più selvatico di Felpato, più animalesco di Lunastorta, solitario e malinconico esattamente come lei.
Fino a che Blaise non era entrato nella sua vita.
Blaise le aveva detto di essere rimasto sorpreso nell’accorgersi di quel cambiamento, perché aveva sempre prodotto un falco quando si era cimentato in quell’incantesimo; adesso, invece…
Chiuse gli occhi, Diana, rovesciando la testa indietro e lasciando cadere il braccio della bacchetta lungo il fianco.
Non poteva farlo.
Non poteva fargli un torto del genere, non poteva cancellare come se nulla fossero state le ultime settimane… non poteva perderlo. Non così.
Con un gesto esausto pronunciò mentalmente il controincantesimo per la Disillusione che aveva applicato su di sé, tornando visibile e riponendo poi la bacchetta nella sua custodia; Blaise, che aveva imparato ad intuire la sua presenza più che ad udirla – dato che sarebbe stato pressoché impossibile: Diana sapeva essere straordinariamente silenziosa –, colse il cambiamento e si voltò di scatto, trovandosela davanti prim’ancora che lei potesse decidere che cosa fare.
Rimasero entrambi immobili lì dov’erano, incerti sul da farsi.
Diana era bella come sempre: nonostante lo sguardo cupo, i lineamenti tirati e gli occhi arrossati, era sempre tanto splendida da mozzargli il fiato. Aveva i denti stretti, come se stesse cercando di trattenere un grido, e le labbra scurite dai segni dei morsi che doveva essersi inferta da sola per mantenere il controllo sulle proprie emozioni.
Che sciocca.
Avrebbe voluto rimproverarla, dirle che era stato tutto un dannato malinteso, che avrebbe dovuto comportarsi come una vera Grifondoro e trovare il coraggio di affrontarlo a viso aperto invece di ordire quella farsa – ma tutto svanì nello stesso istante in cui colse il dolore che le si agitava negli occhi, avvolto dall’opalescente lucore di un abito intessuto di lacrime.
Eppure, ancora una volta, Diana stava lottando: si stava costringendo a mantenere un’espressione fiera davanti a lui, stava disperatamente tentando di tenere insieme i pezzi di quella maschera incrinata dietro cui si era nascosta per sfuggire al tormento… stava combattendo l’unico nemico che non era mai riuscita a sconfiggere: se stessa.
-Non dovevi farmi un Incantesimo della Memoria, tu?- le domandò, sorprendendosi dell’astio che si era mischiato alle proprie parole, squadrandola con tanto gelo da farla rabbrividire.
Diana però si limitò a negare con un gesto lieve del capo, ignorando la sua provocazione.
-Nessun incantesimo.- mormorò la bruna, rivolgendogli un mezzo sorriso pieno di indicibile tristezza. -Non ci riesco.- ammise poi, contrita, distogliendo nuovamente gli occhi da quelli di Blaise.
-Meglio, perché sarebbe inutile ed estremamente fastidioso.- fu la risposta caustica di lui. -Quando capirai di poterti fidare di me?- aggiunse, avvicinandosi di qualche passo alla giovane e costringendola così ad affrontare il suo sguardo.
Lei alzò di scatto la testa, scoccandogli un’occhiata ardente e furibonda.
-Quando non ti vedrò abbarbicato alla prima bionda che ti salta addosso.- sbottò, assottigliando le palpebre sulle iridi d’acciaio – Blaise però dovette trattenere un sorriso a quella reazione, perché vederla infiammarsi in quel modo gli suggeriva che poteva esserci uno spiraglio nella sua armatura che lui avrebbe potuto sfruttare per farla ragionare.
-È più complicato di così.- ammise, distogliendo le iridi da lei e spostando l’attenzione altrove, improvvisamente a disagio.
Lei sbuffò.
-Allora spiegamelo.- fu la sua astiosa replica, e Blaise non esitò nemmeno per un istante a cogliere quell’occasione.
-Daphne mi è stata promessa in sposa quando non eravamo neanche nati.- esclamò tutto d’un fiato, conscio di dover dosare le parole con estrema accuratezza e di doverlo fare anche in fretta, perché Diana – ormai la conosceva abbastanza da averlo capito – non era esattamente una persona paziente. -Ti confesso di non averci mai pensato davvero… abbiamo sempre avuto tutti gli amanti che volevamo e la prospettiva del matrimonio era abbastanza lontana da non doverci pensare.- continuò, sforzandosi di alzare gli occhi su di lei – Diana doveva vedere, Diana doveva capire.
Sospirò, profondamente disgustato da ciò che si stava costringendo a descriverle. Diana non meritava questo – lui non meritava questo, avrebbe dovuto avere il diritto di scegliere da solo la persona con cui passare il resto della propria vita! Come aveva potuto ignorare quella verità per così tanto tempo?
Forse non lo avrebbe mai nemmeno capito, se non avesse incontrato Diana.
Lei gli era entrata dentro e aveva distrutto tutto ciò in cui aveva creduto sino a quel momento della sua vita. Solamente il pensiero di perderla o di separarsi da lei gli era inaccettabile: lei era tutto ciò che non aveva mai cercato, tutto ciò di cui aveva sempre sentito la mancanza – lei era il suo presente e sarebbe stata il suo futuro e, di questo, Blaise era certo.
-Adesso però è tutto diverso.- mormorò, sostenendo la sensazione di essere trapassato da quelle lame argentee che, lentamente, si erano riempite di un’attonita incredulità.
-Pensavo che queste cose non esistessero più.- borbottò la mora, stringendo i pugni e cominciando a camminare rapidamente lungo il tortuoso corridoio della Stanza, in preda al nervosismo. -Dai Blaise, è assurdo!- esclamò dopo una manciata di secondi, lanciandogli uno sguardo che avrebbe voluto essere ironico – che, tuttavia, a Blaise sembrò solo terribilmente implorante.
Il ragazzo scosse la testa, profondamente irritato da quella scomoda realtà che avrebbe ardentemente voluto cancellare definitivamente dalla propria vita.
-Voldemort ha scelto così, e mia madre è una Mangiamorte esattamente come i Greengrass.- si limitò a farle notare, sforzandosi di pronunciare il nome dell’Oscuro Signore nonostante l’abitudine contraria; fu quello, più di tutto il resto, a far comprendere a Diana quanto tutta quella situazione lo turbasse profondamente.
Blaise non stava mentendo.
Poteva fidarsi del proprio istinto? Poteva dar retta al proprio intuito, alla consapevolezza di avere davanti una persona che le stava dicendo solamente la verità? Poteva fidarsi di lui?
-Adesso fa anche l’agente matrimoniale, quello?- commentò, senza rendersi conto di aver alzato la voce di almeno tre ottave, arrestando bruscamente la propria marcia angosciata a meno di due spanne di distanza da Blaise.
Lo guardò in volto, percependo il cuore riscaldarsi appena nel riconoscere quei tratti che aveva imparato ad amare giorno dopo giorno, lentamente, da quando quel giovane uomo aveva fatto irruzione nella sua vita – non voluto, detestato, allontanato… eppure rimasto fino a che lei non si era resa conto che continuare a respingerlo sarebbe stato inutile.
Era lì per lei.
L’aveva sfidata ancora una volta, presentandosi lì conscio di ciò che lei avrebbe dovuto fare – l’aveva vinta ancora una volta, travalicando le sue strenue autodifese e distruggendo i pensieri di cui si era corazzata per convincersi che perderlo sarebbe stata la cosa migliore.
No. Blaise non stava mentendo.
Abbassò lo sguardo, sentendosi sciocca e colpevole per la reazione spropositata che aveva avuto, stringendosi le braccia attorno al corpo in un muto gesto di protezione.
-Mi dispiace… non dovevo reagire in quel modo.- mormorò, lasciando che la tensione che le si era accumulata nelle spalle si sciogliesse e scoprendo di avere freddo – una sensazione che non le capitava molto spesso, e a cui non era più abituata.
Aveva freddo dentro, da molto più tempo di quanto potesse immaginare.
-Non fa niente.-
Sussultò, quando il respiro caldo di Blaise le solleticò l’orecchio.
Il calore che quel giovane emanava era così piacevole, così familiare, così rassicurante… come aveva potuto pensare di separarsene, di abbandonarlo in quel modo tanto brutale che aveva congegnato – come aveva potuto pensare di allontanarsi da Blaise?
Lui era la sua forza…
Quel pensiero la attraversò con la violenza di una lama ghiacciata, facendola rabbrividire violentemente ed offuscando i suoi occhi di un tormento che Blaise aveva imparato, ormai, a conoscere.
-Cosa non mi stai dicendo, Di?- le domandò, allungando i polpastrelli sulla pelle soffice delle sue guance; le sue carezze dipinsero lievi tratti rosati sulla carnagione delicata della ragazza, strappandole un sospiro spezzato ed un tremolio incerto di quelle sue lunghe, folte ciglia di pizzo.
-Io non__- le parole le s'incresparono sulle labbra come foglie abbandonate dal vento sull'orlo di un precipizio, scivolando nel vuoto quando la sua fiacca protesta perì nel verde plumbeo dello sguardo di Blaise.
-Diana.-
Nel momento in cui il suo nome fu pronunciato con quella ferma, calda dolcezza a cui non era in grado di negare nulla, Diana sentì qualcosa spezzarsi; e, dopo un istante, la devastazione a cui tanto a lungo aveva resistito la travolse e l’annichilì, distruggendo tutto ciò che lei aveva erso per ingabbiarla dentro di sé.
Non sarebbe mai stata in grado di perdere Blaise.
Vederlo con Daphne, vederlo lontano da sé, vederlo preferire un’altra a lei aveva spaccato qualcosa in quell’armatura di porcellana che si era ostinata ad indossare tanto a lungo, permettendo ai demoni dell’incertezza, dell’abbandono e della solitudine di ghermire le sue carni fragili ed esposte.
Il terrore di perderlo era stato più forte di qualsiasi altra cosa – del raziocinio, della freddezza del soldato, della calma dell’assassino: tutto era stato annientato dalla paura di essere abbandonata da quel giovane uomo che le era entrato dentro e che lei amava, sì, che amava con ogni fibra del proprio essere.
...lui era la sua forza, e sarebbe rimasto tale quando lei più non ne avrebbe avuta.
-…ho paura, Blaise.- singhiozzò, abbandonando il viso fra le pieghe di stoffa, intrise di quell'odore familiare e tanto adorato, della camicia di Blaise.
Lui le cinse la vita con le braccia quando le gambe le cedettero, sorreggendola quando, con grazia, la giovane scivolò sul pavimento e si accasciò contro di lui, arrendevole come una delicata bambolina di pezza.
Era troppo... era stanca, più stanca di quanto non fosse mai stata.
Non poteva più continuare così: le era stato portato via troppo, troppe volte – troppo profonde erano le ferite che le erano state crudelmente inferte dal fato, e lei non aveva più voglia di continuare a lottare davanti a tutto ciò che cercava di strapparle quel poco di serenità che era riuscita a trovare.
Però lei non era più sola a combattere quella guerra contro il destino... ed era ciò che la terrorizzava più di qualunque altra realtà.
-Sei tu che mi fai paura...- mugolò, aggrappandosi alle spalle forti del giovane quando l'agonia la travolse con tanta violenza da provocarle un lacerante dolore fisico.
Come poteva essere tanto terrorizzata? Come poteva soffrire così profondamente al pensiero di perdere lui?
Le mani di Blaise le scivolarono sul volto, cancellando le lacrime sottili che ne avevano deturpato il profilo con una delicatezza disarmante – come se mai avesse voluto ferirla, come se avesse solo voluto prendersi cura di lei.
-Sssh.- le sussurrò piano, accostandosi al suo viso e raccogliendole i capelli umidi di pianto dietro le orecchie – il dolore le donava in un modo straziante, si disse, perché non gli era mai parsa meravigliosa come in quel momento: pallida e stravolta, con gli occhi lucidi e le labbra arrossate dai morsi.
Forse era lui a vederla in quel modo, a scorgere il suo volto attraverso il velo che il sentimento aveva posto sul suo volto – oppure ogni schermo gli era stato sottratto proprio da quell’affetto, permettendogli così di distinguere la realtà per la prima volta in tutta una vita?
In fondo… non era così importante.

Quale che fosse la risposta a quelle domande lui sapeva ciò che aveva dinanzi: era ciò che non si sarebbe mai lasciato sfuggire, che avrebbe amato per ogni istante della sua esistenza e a cui sarebbe rimasto accanto a qualsiasi costo – gioendo quando l’avrebbe vista, finalmente, rialzarsi e combattere ancora una volta, di nuovo fiera di se stessa almeno quanto lui sarebbe sempre stato di lei.