Nei
giorni che seguirono, Diana e Blaise ebbero tutto il tempo di imparare a
conoscersi almeno quanto avevano imparato ad amarsi.
Mancavano
ancora alcune giornate al rientro del resto della scolaresca. Grazie alla
prontezza dei difensori di Hogwarts l’attacco dei Dissennatori era rimasto
pressoché invisibile ai più, soprattutto dopo che i professori McGrannitt e
Piton si erano sincerati di modificare la memoria di tutti coloro che, a
Hogsmeade o nei dintorni, avevano visto o avvertito l’arrivo di quelle
bestiacce.
Draco
ed Hermione, avvisati dallo stesso Severus Piton con estrema discrezione, erano
tornati al castello un paio di giorni dopo l’attacco: Hermione aveva stretto
convulsamente a sé l’amica, spaventata da ciò che avrebbe potuto succederle e
facendole una lavata di capo per l’insensataggine con cui aveva gestito
l’intera battaglia. Draco, al contrario, si era complimentato con lei per
l’ottimo lavoro svolto, prima di sogghignare e chiedere a Blaise, con
estremo tatto, se il suo regalo di Natale si fosse rivelato utile.
Lea,
tutt’altro che propensa all’idea di allontanarsi dal castello dopo quanto era
successo, aveva immediatamente trovato una profonda affinità con la riccia
Grifondoro: dopo qualche giorno, infatti, sembrava che fossero amiche da secoli
– con enorme sgomento di Diana, che mai avrebbe pensato di trovarsi a doversela
dare a gambe davanti a quelle due quando si mettevano in testa di farle fare i
compiti.
Silente
aveva permesso a tutti loro di stabilirsi, per quei pochi giorni di vacanza
rimasti, nella Torre dei Grifondoro: ed aveva anche consigliato a Diana di
operare qualche piccolo cambiamento al dormitorio che, sicuramente,
Lavanda Brown e Calì Patil non avrebbero disdegnato e che avrebbe potuto
attribuire ad una delle tante bizzarre scelte del loro bislacco Preside.
Così,
approfittando di una mattina in cui Draco era sceso presto con Hermione per
fare colazione, la giovane Black si era rimboccata le maniche, si era
concentrata sui propri poteri ed aveva fatto sì che le pietre di Hogwarts le
dessero ascolto: i muri, obbedienti, si erano allargati e modellati secondo il
suo volere, chiudendosi attorno ai singoli baldacchini per creare, dietro
consiglio di Lea, quattro stanzette singole, ognuna dotata di finestra e di un
piccolo armadio incassato nella roccia.
Quella
sera, dopo aver cenato tutti insieme e aver atteso che le tre ragazze fossero
immerse in una lunga discussione su una qualche saga di romanzi recentemente
letta, Draco prese da parte Blaise, ben deciso a capire fino a che punto lui e
Diana fossero arrivati.
-Allora?-
gli chiese, senza troppi preamboli, sorseggiando distrattamente il vino elfico
che si era portato dietro da villa Malfoy.
Blaise,
ostentando noncuranza, gli sottrasse la bottiglia e si versò elegantemente un
bicchiere bello colmo, accennando sarcasticamente un brindisi all’amico.
-Allora
cosa?- gli chiese, in faccia quell’espressione da schiaffi che Draco tanto non
sopportava.
Il
biondo inarcò un sopracciglio, infastidito, lanciando un’occhiata eloquente
alla bruna americana che stava, in quel momento, descrivendo animatamente una
sequenza del suo libro preferito.
-Non
prendermi per cretino, eh.- gl’intimò, notando che Blaise aveva seguito il suo
sguardo ed aveva sorriso nell’incrociare la figura della giovane Black.
-Vuoi
sapere di me e Diana, no? Beh, lo vedi da te.- il moro si strinse nelle spalle,
soddisfatto, gustandosi appieno il sapore dolce e speziato del vino – gli
ricordava Diana, quel sapore.
Negli
ultimi giorni lui e Diana avevano parlato a lungo, aprendosi come nessuno dei
due aveva mai fatto in tutta la vita; un po’ a fatica, un po’ grazie al
sostegno di Lea, la giovane gli aveva raccontato come aveva trascorso gli
ultimi cinque anni della propria vita, della carriera in Accademia, delle
missioni – di Scott, di Dan, del motivo per cui Voldemort li aveva uccisi e
dello spaventoso baratro in cui era sprofondata dopo la loro morte.
Se
non altro, aveva commentato amaramente Diana, lei
aveva avuto una famiglia.
Blaise
non aveva mai conosciuto il proprio padre, morto quando lui aveva appena due
anni; Zephira Zabini, nata Lestrange, non si era mai particolarmente curata
dell’unico figlio, preferendo lasciare a balie e nutrici il compito di
crescerlo. Blaise aveva passato tutta la vita negli agi, beneficiando dei
matrimoni di convenienza della propria madre e delle cospicue fortune che da
essi derivavano, ma non aveva mai conosciuto il calore e l’affetto di un
genitore.
L’amicizia
fra lui e Draco Malfoy esisteva praticamente da sempre; erano cresciuti
insieme, lui e Dray, e Narcissa era stata una madre affettuosa non soltanto per
il figlio, ma anche per il bambino taciturno e dalla lingua tagliente che si
scioglieva un poco soltanto in compagnia di Draco.
Ad
Hogwarts, Blaise era stato capace di aprirsi appena, stringendo amicizia con la
spigliata Pansy Parkinson; grazie a lei, giovane ed impertinente donna
paragonabile ad un vulcano in eruzione perenne, Blaise era riuscito ad entrare
nel giro della nicchia ristretta dei giovani più invidiati della scuola.
Eppure,
nonostante la fama e, successivamente, il successo con il gentil sesso, Blaise
non era mai stato in grado di trovare una donna che riuscisse a farlo sentire
completamente, totalmente se stesso.
Sino
ad ora.
Era
stato difficile per entrambi permettere all’altro di entrare nelle proprie
paure, abituati com’erano, sin da bambini, a cavarsela per conto proprio; ma si
erano fatti coraggio a vicenda, Blaise e Diana, e parlare non era più stato
così difficile.
Il
moro si riscosse, scacciando a malincuore il ricordo di un paio d’ore
particolarmente piacevoli passate nella Foresta assieme a Diana, in fuga da
quella Torre sovraffollata.
-So
tutto, se è questo il tuo dilemma. E non mi cambierà la vita.- assicurò
all’amico, sentendosi più sincero, in quel momento, di quanto non fosse stato
in tutta la propria vita; forse, e ne era quasi certo, aveva accettato la vera
identità di Diana molto più di quanto facesse, tuttora, lei stessa.
Draco
osservò l’amico, pensieroso.
-O
sei molto perso, o sei completamente pazzo.- fu il suo laconico giudizio ma, in
cuor suo, aveva scorto in Blaise una serenità del tutto nuova, la stessa che
aveva trasformato la solitamente ombrosa Diana in una giovane esuberante e
desiderosa di vita.
Blaise,
a quell’affermazione, sorrise.
-Probabilmente
entrambe le cose.-
§
Blaise
sospirò, il sorriso che scivolava lentamente sulla spalla candida di Diana, i
denti che ne delineavano il profilo in una suadente scia di morsi e carezze.
-Silente
non mi dispiace, ma posso definire le sue ultime scelte alquanto
“discutibili”?- mormorò su quella pelle morbida, lasciando scorrere la punta
dell’indice lungo quel profilo curvo e perfetto che aveva scoperto di adorare.
Diana
sospirò, rapita, abbandonando languidamente la testa all’indietro e offrendogli
libero accesso alla propria gola con quella che Blaise poteva definire
solamente una totale, spudorata sensualità.
Il
giovane incurvò le labbra, soddisfatto, impossessandosi di quel collo con
ingordigia ed aggredendolo coi denti e con la bocca carnosa, esperta,
disegnando una scia di tracce umide e rossastre su quella pelle d’alabastro.
Ridacchiò
nel sentirla gemere, scendendo a racchiudere fra le dita quelle natiche sode ed
invitanti – facendola brontolare, indispettita, perché entrambi sapevano
benissimo di non potersi concedere ciò che Blaise le stava ardentemente
proponendo.
La
sala comune dei Grifondoro, entro una manciata di minuti, si sarebbe riempita
di irritanti Prescelti e gingers nati con l’unica funzione di rompere le
scatole a quel povero, sciagurato Serpeverde che desiderava soltanto
scatenare il vivace appetito sessuale della propria donna in santa pace.
Diana,
perfettamente conscia di quanto lui la stesse torturando, si costrinse a
riassumere un minimo di decenza e lo scostò da sé, spingendolo contro lo
schienale della poltrona dove quell’idiota di ragazzo si era beatamente
abbandonato qualche minuto prima. Si riallacciò i bottoncini della camicetta
bianca, a malincuore, senza però scacciare il tocco di lui dalle proprie
natiche o scoraggiare lo sguardo ingordo che il giovane dedicò al suo seno
tonico.
Gli
rivolse una smorfia, sistemandosi la gonna: stava decisamente comoda in braccio
a lui, doveva ammetterlo, ma quella era una posizione decisamente poco casta e
presto la sala comune non sarebbe più stata così sicura per loro.
Lasciò
scivolare una gamba su quelle di lui, accoccolandosi in una posa un poco meno
esplicita contro il suo petto e sentendolo sbuffare, contrariato, quando gli
impedì di infilare le dita sotto la stoffa pesante della divisa.
-Blaise,
il mio compito è proteggere Harry. Come posso farlo se lui è lontano dal
castello?- si decise a spiegargli, paziente, prendendolo con due dita per il
mento sottile e costringendolo a guardarla negli occhi.
-Può
proteggerlo chiunque altro, non sei la sua balia.- mugugnò lui in risposta,
cercando di non sorridere quando Diana, dolcemente, gli accarezzò la guancia
ruvida.
-No,
però sono la sua sorellastra adottiva e lui neanche lo sa. Ha bisogno di essere
protetto da se stesso, e nessun adulto può farlo.- replicò, conscia che
coccolarlo era il modo più efficace per rabbonirlo, allungandosi come un gatto
fra le sue braccia per lasciargli un soffice bacio all’angolo della bocca.
-Mi
chiedo perché quel dannato Prescelto si ostini ancora a respirare.- si limitò a
mugugnare lui, ancora indispettito; ma Diana rise, soddisfatta, quando lui le
catturò le labbra in un bacio che riuscì a cancellare il pensiero di Harry
Potter dalle menti di entrambi.
Albus
Silente aveva richiamato ad Hogwarts Harry e Ron in tutta fretta, insieme ad
almeno la metà dell’Ordine della Fenice – che si sarebbe insediata ad
Hogsmeade. Era sua convinzione, e Diana la condivideva appieno, che Harry
sarebbe stato più al sicuro assieme a lei, dove i poteri pressoché infiniti
della giovane Auror avrebbero potuto proteggerlo, piuttosto che in un luogo
sperduto e lontano come Casa Weasley.
-Diana!-
esclamò Harry Potter, scorgendo l’amica, Hermione e una ragazza che non
conosceva sulla soglia del portone, mentre lui e Ron trascinavano i pesanti
bauli lungo il vialetto d’accesso.
La
bruna rise, correndogli incontro ed abbracciandolo con uno slancio che lo
sorprese enormemente, tanto si era abituato alla freddezza e al distacco che
Diana aveva dimostrato di possedere da quando la conosceva.
-Tutto
bene? Come ti senti?- le domandò, staccandosi un poco da lei per studiarla:
sembrava in forma, in effetti, più di quanto non fosse mai stata.
Lei
rise, arruffandogli i capelli neri, gli occhi d’argento che riverberavano della
luminosità della neve.
-Sto
benissimo. Davvero!- esclamò davanti al sopracciglio inarcato dei due amici ed
abbracciando anche Ron, dopo averlo districato da Hermione.
Lea,
che le aveva seguite, arrossì quando l’amica la tirò avanti, costringendola a
farsi vedere dai due ragazzi.
-Harry,
Ron, vi presento Lea Artesia. È venuta dagli USA per stare un po’ con me.- la
presentò Diana, vedendo gli occhi azzurri di Ron accendersi nel notare quanto
carina fosse la nuova arrivata. -Lea, non ti emozionare: questi sono Harry
Potter e Ronald Weasley.- aggiunse, sarcastica, guadagnandosi una smorfia da
parte di Harry.
-Ehm…
piacere.- mormorò lei, imbarazzata, stringendo la mano ad entrambi.
Ron
si esibì in un sorrisone quasi eccessivo quando lei lo guardò, abbassando
appena la testa in un accenno di inchino.
-Il
piacere è tutto mio, davvero! Sono__- cominciò lui, ma Diana – che aveva la
vista più acuta di quanto lui potesse sapere – gli allungò un calcio sullo
stinco che lo fece inciampare e rovinare a terra.
-__caduto.-
terminò al suo posto, divertita, mentre Lea accorreva per dare una mano al
rosso e lei, Harry ed Hermione si scambiavano l’occhiata complice di chi la
sapeva estremamente lunga.
Come
previsto da quei tre pettegoli, Ron e Lea andarono immediatamente d’accordo:
l’indole introversa della riccia ben si accordava con il carattere un po’ goffo
ed esplosivo del rosso, e più di una volta li videro immergersi in lunghe
conversazioni da cui, evidentemente, solo lo scoppio di una guerra in piena
regola avrebbe potuto strapparli.
Hermione
e Diana, per fortuna, erano riuscite a ritagliare qualche notte assieme ai
rispettivi compagni Serpeverde, adducendo la scusa di essersi addormentate in
biblioteca per rimettersi in pari coi compiti che, visto l’attacco dei
Dissennatori alla scuola, non erano riuscite a finire – per quel che riguardava
Diana, perlomeno, quella era una sacrosanta verità.
Fu
proprio la mattina dopo una di queste notti, passate a perdersi nei sublimi
piaceri delle più carnali passioni, che Diana ed Hermione salirono di corsa in
Sala d’Ingresso, ringraziando mentalmente la ressa creatasi dal ritorno dalle
vacanze degli studenti di Hogwarts.
Spintonando
e sgomitando per farsi spazio, cercarono di avvicinarsi ad Harry e a Ron, che
avevano intravisto fermi sulle scale ad attendere l’arrivo di Ginny, Neville e
Luna Lovegood; mentre si facevano largo, però, Diana vide una familiare e
detestata chioma biondo-argentea superarla, diretta in direzione opposta alla
sua.
-Oh,
tu guarda, è arrivata la principessina sul pisello.- commentò caustica,
riconoscendo la figura snella e slanciata di Daphne Greengrass nella ragazza
che camminava altezzosamente fra gli studenti rumoreggianti, pestando
elegantemente i piedi di chi osava dimenticare di farle spazio.
-Dove
il concetto cardine della frase è proprio il “pisello”, giusto?- fu la risposta
inaspettata di Hermione, che sgranò gli occhi e arrossì nello stesso attimo in
cui comprese che cosa aveva appena detto.
Diana,
al contrario, ridacchiò e le scoccò un’occhiata fiera.
-Hermione,
stare con Draco ti sta facendo diventare una pervertita.- si complimentò,
orgogliosa, ma il suo sorriso morì quando vide inorridire l’amica, che teneva
gli occhi fissi alle sue spalle. -Ma che…- cominciò, voltandosi nonostante la
riccia avesse tentato di fermarla… e impallidì, mentre la serenità che aveva
conquistato in quelle settimane scivolava via da lei come acqua sul ghiaccio.
-…Oh.-
-Puoi
tenerti la tua puttanella, Zab, ma ricorda bene chi è che mi ha scelta per te.
Non ti conviene deluderlo, no?-
Le
parole che Daphne gli aveva sussurrato all’orecchio erano state sufficienti per
farlo impietrire.
L’Oscuro
Signore aveva scelto, più di sedici anni prima – quando il suo potere era
pressoché illimitato e le schiere dei Mangiamorte infinite –, quali figli dei
suoi fedelissimi avrebbero dovuto accoppiarsi, in modo da mantenere puro il
sangue delle stirpi da cui erano stati generati.
Aveva
sempre cercato d’ignorare quel pensiero, quella consapevolezza, sapendo che né
lui né Daphne avevano mai provato altro che attenzione fisica nei confronti
dell’altro: eppure adesso, con quel pensiero cristallino davanti e la
consapevolezza che Daphne sapesse di Diana, l’unica cosa che aveva potuto fare
era stata baciarla in quel modo plateale, quasi esagerato, in modo che la
bionda potesse ribadire qualcosa che lui non poteva impedire.
Quando
si separarono, però, Blaise ignorò l’espressione di palese soddisfazione della
ragazza, cercando con lo sguardo la figura di Diana appena in tempo per vederla
sparire su per le scale in uno svolazzo di vesti nere e rosse.
Fece
per muoversi, intenzionato a seguirla, ma una stretta ferrea eppure familiare
lo bloccò; si voltò, guardando estremamente male Draco Malfoy, ma l’amico
scosse la testa.
-Sarebbe
una pessima mossa.- disse solo, tirandoselo dietro verso il sotterraneo
Serpeverde.
Come
una bestia rinchiusa in gabbia, la giovane Diana Black girò per l’ennesima
volta su se stessa, ripercorrendo nuovamente l’intera lunghezza del corridoio
dell’ultimo piano che aveva già attraversato almeno sei volte.
Stupida.
Digrignò
i denti, sfregandosi violentemente gli occhi per impedirsi qualsiasi reazione
di debolezza. Lanciò un’occhiata malevola verso l’abitante di un quadro che la
stava fissando, sorpreso, da qualche minuto, ricominciando poi il suo
andirivieni angosciato.
Ingenua.
Certo,
avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto capirlo: Blaise Zabini non era altro che
un ragazzino, e lei aveva sbagliato – accecata com’era stata dal suo stupido
fascino – a fidarsi di lui, a permettergli di arrivarle così vicino…
Sciocca.
Aveva
affidato a quell’idiota il suo segreto, dannazione! Come aveva potuto essere
tanto fiduciosa – proprio lei, dopo tutto quello che aveva passato? Non
aveva ancora imparato a tenere la bocca cucita e il cuore ben chiuso sotto
chiave?
No,
lei aveva voluto credergli, aveva voluto sperare! Ed ora il figlio
di una Mangiamorte girava tranquillamente per Hogwarts, a conoscenza di cose
che… di realtà che…
“…ma
chi voglio prendere in giro?”
Si
fermò di botto, furibonda con se stessa, serrando i pugni e le palpebre per
tentare di contenere la propria furia.
Stava
davvero cercando di convincersi che tutta quell’ira fosse causata solo da quel
pensiero, solo dalla consapevolezza di aver messo in pericolo i suoi segreti?
Voleva veramente mentire a se stessa fino a quel punto?
Oh,
andiamo, si disse, scuotendo i lunghi capelli
neri e lasciandosi sfuggire una colorita bestemmia che strappò un’indignata
replica da parte del quadro di poco prima.
Lei
non ci aveva nemmeno pensato, a quello.
Non
le era nemmeno passato per l’anticamera del cervello quell’idea, quei problemi
che si stava ripetendo ossessivamente da diversi minuti per giustificare la
propria rabbia: vedere quella vacca maledetta della Greengrass addosso a Blaise
non le aveva fatto capire di aver messo in pericolo un’operazione di portata
mondiale che poteva significare la fine di una guerra o la definitiva
distruzione della società magica… no.
Lei
si era sentita tradita.
Imprecò
di nuovo, sentendo lo stomaco contrarsi e il petto dolerle; si appoggiò alla
parete di pietra, sconsolata, senza riuscire ad impedire ai propri occhi di
bruciare.
Come
aveva potuto credergli?
Si
era fidata di lui… gli aveva permesso di vedere al di là delle proprie
maschere, delle proprie mura, delle proprie difese, gli aveva dato libero
accesso al proprio passato e alle proprie paure – “Dannazione, Diana, perché
lo hai fatto?”
Aveva
davvero creduto… aveva davvero sperato che fosse tutto vero, che lui fosse
davvero lì con lei, che per una sola volta qualcosa fosse andato per il
verso giusto…
Con
uno scatto, la giovane donna balzò in piedi, animata da una furia del tutto
nuova.
Si
era comportata come la più infantile delle ragazzine.
Lei,
proprio lei – addestrata dal fato e dalla necessità ad essere adulta, seria,
consapevole – si era lasciata abbindolare da quei maledetti occhi verdi, da
quel sorriso, da quel calore…
-DANNAZIONE!-
strillò, furiosa, e prima di potersi fermare il suo pugno scattò in direzione
della parete, provocando uno schiocco agghiacciante quando il pezzo di roccia
che lo componeva s’incrinò sotto il peso della sua magia.
Sentì
le nocche bruciare quasi immediatamente, ma il dolore acuto che le arrivò al
cervello giunse come una benedizione. Quella sofferenza meramente fisica era
più facile da affrontare, non toccava niente d’importante, il corpo si poteva
guarire in fretta… ma l’anima? La mente? Quanto avrebbe impiegato per rimettere
insieme i pezzi di quel qualcosa che non era nemmeno ancora riuscita ad
aggiustare del tutto?
E
pensare che si era… che lei si era… di lui…
“NO!”
Odiandosi
come non mai, Diana tirò un altro pugno alla parete, provocando un’altra crepa.
Non
doveva nemmeno pensarla, quella cosa; non doveva ammetterla con nessuno, non
doveva rendersene conto, se lo avesse fatto l’avrebbe distrutta…
-Dannazione,
Blaise…- mugolò, arrendendosi davanti all’evidenza e abbandonandosi contro al
muro spezzato, chinando la testa davanti a quel dolore troppo intimo e atroce
perché lei potesse esorcizzarlo facendosi del male o nascondendolo dietro
quelle mezze verità.
Faceva
male.
Faceva
così tanto male da farle capire che non sarebbe riuscita a liberarsene
facilmente.
Avrebbe
pianto, se ne fosse stata in grado, ma l’orgoglio che la caratterizzava da
sempre non avrebbe mai potuto permettere un ennesimo affronto di tale portata –
no, lei non avrebbe dato quell’amara soddisfazione a se stessa e a quel
maledetto, avrebbe tenuto per sé i cocci di ciò che lui aveva rimesso
insieme e si sarebbe trincerata dietro il muro di gelo e cupezza che l’avevano
accompagnata sin da quando aveva messo piede ad Hogwarts.
Sarebbe
stata più forte del dolore, ancora una volta: non si era lasciata distruggere
dalla morte di Dan e di Scott e, sicuramente, non sarebbe stato Zabini a
portarla un’altra volta sull’orlo del baratro.
Ricorda
chi sei, Diana Black.
Prese
un respiro profondo, fissando trucemente il pavimento che intravedeva fra le
ciocche di capelli scuri che le ricadevano attorno al volto chino.
Ricorda
chi sei.
Lei
era la Regina, colei che riuniva in sé i poteri dei cinque Elementi, della Luce
e del Buio, l’ultima donna a portare il nome dei Black.
Lei
era un potentissimo ago della bilancia, che poteva determinare la sopravvivenza
o la morte di migliaia di vite umane con un mero battito di ciglia.
Lei
era un’Auror, addestrata per combattere fino all’ultimo respiro, e si trovava
lì per proteggere colui che significava la speranza di un mondo intero.
Lei
era una soldato, un’arma, una guerriera.
Lei
era Diana Black, e non sarebbe stato Blaise Zabini a spezzarla.
Prese
fiato ancora una volta e poi un’altra ancora; si costrinse a calmarsi, a
spingere in fondo alla gola il dolore che la ostruiva, serrando le dita sulla
roccia crepata per appropriarsi della calma pacata ed infinita che sentiva
vibrare sotto i polpastrelli.
Non
doveva lasciarsi andare, non poteva.
Doveva
essere forte, ora, doveva accantonare quelle stupidaggini stucchevoli e melense
e darsi da fare per sistemare i danni che aveva combinato prima che divenissero
irreparabili.
Non
poteva.
Armata
di quella nuova risolutezza, Diana alzò lo sguardo e si tirò indietro i
capelli, facendo altri lunghi respiri per calmarsi definitivamente e riprendere
il controllo sulle proprie emozioni.
Avrebbe
rimesso tutto a posto.
Sarebbe
bastato un buon incantesimo e tutto sarebbe tornato al proprio posto; avrebbe
dovuto modificare lievemente anche i ricordi dei suoi amici, ma certo avrebbero
capito quanto si trattasse di una situazione del tutto straordinaria… ma Lea
no, a Lea avrebbe permesso di ricordare, di lei poteva fidarsi ciecamente.
-Ti
sei sfogata, adesso?- le domandò una voce conosciuta, e Diana si concesse un
breve sbuffo divertito: Lea Artesia giungeva sempre al momento giusto, e
lei avrebbe dovuto ricordarlo.
-No.-
rispose, sincera con l’amica americana come non sarebbe mai stata con nessun
altro; si ricompose, allungando una mano per accarezzare con dolcezza e
dispiacere le spaccature che aveva aperto nella parete, risanandole con il
delicato tocco delle proprie dita.
Hermione
doveva averla avvertita, oppure Lea aveva percepito il mutamento di temperatura
che aveva coinvolto l’intero castello e, probabilmente, anche Hogsmeade:
sebbene i poteri di Diana fossero momentaneamente smorzati da una briglia che
lei stessa si era fatta imporre, la sua presenza era talmente preponderante per
gli Elementi che essi rispondevano comunque alle sue emozioni, incupendo il
Sole e gelando l’aria nella zona in cui lei si trovava.
Capitava
anche nel Limbo, rifletté Lea, studiando la mora
mentre riparava i danni che aveva causato a quelle povere pietre innocenti. Diana
stava cercando di nascondere tutto persino a se stessa: era tipico di lei,
da quando si erano conosciute Lea aveva avuto moltissime occasioni per vedere
quel meccanismo di autodifesa entrare in azione nella psiche di Diana…
-Devo
cancellargli la memoria.- sbottò improvvisamente la Black, facendo sobbalzare
l’altra.
-Perché?-
esalò Lea, sbigottita: sì, Blaise poteva aver fatto un disastro, ma
cancellargli la memoria non era un tantino eccessivo!? Diana non poteva andare
da lui e parlare come chiunque altro avrebbe fatto in una situazione del
genere!?
Lea
trattenne un’imprecazione, scoccando intanto all’amica uno sguardo di profondo
rimprovero: non doveva mai dimenticare quanto Diana non fosse mai stata come
“chiunque altro”… e che aveva proprio un carattere di merda.
-Perché
ho sbagliato a fidarmi di lui, e non posso permettere che le informazioni di
cui l’ho messo a parte vadano in giro fra i compari Mangiamorte di sua madre.-
fu la spiegazione lapidaria e sbrigativa che Diana le diede, ma la riccia
sbuffò di nuovo.
-Stai
esagerando, Di.- le fece notare, piano, sapendo però quanto fosse inutile
parlarle quando si comportava in quel modo: Diana non avrebbe ascoltato
nessuno, ora – era troppo arrabbiata, troppo ferita, troppo innamorata.
-Non
sto esagerando!- lo strillo che eruppe dalle labbra livide della mora fu, per
l’altra, solamente una conferma di quanto quell’atteggiamento misurato e
distaccato fosse solamente una maschera dietro cui, come già in passato, Diana
si stava trincerando per sfuggire alla realtà.
La
mezz’indiana fece un passo avanti, avvicinandosi con cautela all’altra ragazza;
Diana la lasciò fare, anzi, forse nemmeno se ne accorse, perché quella breve
esplosione di nervosismo aveva sfiorato un nervo scoperto e, adesso, doveva
assolutamente rimettersi in sesto prima di lasciar uscire__
-Ho
sbagliato. Ho sbagliato su tutta la linea, di nuovo.- sussurrò, odiandosi per
la propria debolezza, sottraendosi al tocco di Lea prima che l’amica la
sfiorasse: non l’avrebbe sopportato – Lea era calda e viva, e la sua
vicinanza avrebbe potuto sciogliere le sue mura di ghiaccio…
-Diana__-
cominciò la riccia, ma lei scosse la testa e la zittì.
-Non
ho tempo, Lea.- la redarguì, ripetendosi ancora una volta quanto lei – la
Regina, l’Auror, Diana Black – non potesse permettersi un affronto tale nel
proprio orgoglio. -Scendi al dormitorio dei Serpeverde e dì a Blaise…-
s’interruppe un istante per respirare a fondo, cercando la forza di pronunciare
quelle parole che avrebbero definitivamente condannato all’oblìo ciò che aveva
creduto di poter ricostruire con Blaise.
È
meglio così.
-…digli
di venire nella Stanza delle Necessità.- terminò, distogliendo lo sguardo dal
volto di Lea per evitare di scorgervi la disapprovazione che poteva quasi
avvertirla emanare.
-Cosa
vuoi fare? Obliviarlo?- sbottò infatti l’amica, sarcastica, ma lei si limitò ad
annuire.
-Esattamente.-
Quella
era di sicuro la giornata peggiore che avesse mai avuto.
Blaise
Zabini inghiottì una colorita imprecazione, ripetendosi che bestemmiare dinanzi
ad una ragazza non sarebbe stato elegante, limitandosi a rivolgere a Lea
Artesia uno sguardo sfinito.
-Dammi
un motivo valido per non lasciare che Diana ti cancelli la memoria.-
Un
sorriso amaro gli piegò le belle labbra in una smorfia piena di dolore.
Diana
sapeva essere davvero determinata, in casi come quelli: probabilmente era una qualità che, come Auror, le aveva
fatto comodo diverse volte… ma non avrebbe funzionato con lui, di questo era certo.
-Ho
dovuto farlo, Lea.- sospirò, ripetendo quelle parole per l’ennesima volta; Lea
aggrottò le sopracciglia, scettica, ma Blaise la ignorò e si alzò dal proprio
letto, cominciando a misurare il dormitorio verdeargento con lunghe falcate.
Perché
diamine Diana non voleva affrontarlo?
Non
avrebbe chiesto altro, voleva solamente un’occasione per parlarle e per
spiegarle tutto – okay, non sarebbe stato facile e probabilmente nemmeno
indolore, ma lui meritava almeno una possibilità, accidenti! Se avesse potuto
scegliere di certo non avrebbe mai compiuto quel gesto!
Digrignò
appena i denti, furibondo con se stesso, con Diana e con tutto il resto del
mondo; Draco, che lo stava osservando in silenzio da quando aveva fatto entrare
Lea, si rivolse alla ragazza.
-Non
sta mentendo. Posso garantirtelo.- affermò, sorvolando sui motivi che avevano
spinto Blaise ad agire in quel modo: a Lea non sarebbero interessati e non
aveva bisogno di saperli perché, proprio come Diana, le sarebbe bastato
guardarli in faccia per capire che non mentivano.
Come
a volergli dare ragione, Lea li squadrò entrambi per una manciata d’attimi:
aveva due occhi color nocciola estremamente espressivi, notò il biondo, quasi
come se potesse scorgere ogni più piccolo anfratto delle loro anime semplicemente
osservandoli…
All’improvviso,
facendo sussultare tutti e due, la ragazza balzò in piedi e cominciò a frugare
nelle tasche del giubbotto di jeans che indossava, traendo da una tasca interna
una fialetta ricolma di un liquido ambrato ed estremamente denso.
-Bevi
questa.- ordinò seccamente a Blaise, fermando il suo angosciato peregrinare per
consegnargli il piccolo oggetto. -È una pozione in grado di annullare gli
effetti di qualsiasi incantesimo di memoria.-
Il
moro rimase in silenzio, stupito.
Una
pozione che annullava gli effetti degli incantesimi di memoria.
Con
quella avrebbe potuto affrontare Diana e la sua stupida decisione, rifletté, e
sarebbe stato in grado di parlarle e dirle che era una sciocca permalosa e che
si era trattato di un dannato malinteso; la pozione l’avrebbe tenuto al sicuro
dalla testardaggine della mora e da qualunque tiro mancino.
Ma…
-No.-
affermò, alzandosi repentinamente dalla poltrona in cui si era lasciato
sprofondare e rassettandosi la veste, ravviando sulle spalle il mantello nero
come il giaietto.
Diana
lo avrebbe ascoltato, volente o nolente.
Rivolse
un sorriso, forzato ma sincero, a Lea. Quella ragazza doveva essere davvero una
persona speciale se era stata in grado di conquistarsi l’amicizia e la fiducia
incondizionata di Diana, rifletté, comprendendo solamente in quell’istante
quanto l’offerta di Lea fosse un chiaro esempio di quanto le fosse cara la
serenità dell’amica.
Lea
voleva che lui facesse ragionare Diana… e lui lo avrebbe fatto. A modo suo.
-Ti
ringrazio, Lea, ma se Diana non vorrà ascoltarmi allora lascerò che faccia ciò
che vuole.- la ringraziò – e fu certo di aver visto un sorriso soddisfatto
balenare sulle labbra della riccia per un solo battito di ciglia.
-Sei
impazzito!?- sbottò invece Draco, allibito. Stavano forse ammattendo tutti
quanti, a Hogwarts!? -Non ricorderai più nulla degli ultimi giorni, e tu e
lei non__-
-Se
mi costringerà a farlo, la conquisterò di nuovo.- lo interruppe subito il moro,
scoccando all’amico un’occhiata sicura che uccise sul nascere quelle proteste;
Draco sussultò, scorgendo negli occhi familiari dell’amico una determinazione
impressionante che aveva visto ardere solamente in un’altra persona: Diana.
Blaise
era sicuro di ciò che stava facendo.
Non
lo aveva mai visto rischiare così tanto, mettersi in gioco fino al punto di
dover temere per la propria incolumità: Blaise era sempre stato un abile
giocatore di scacchi e, come tale, non si era mai lasciato cogliere impreparato
da una situazione e non aveva mai affrontato nulla senza qualche asso nella
manica… eppure, adesso, sembrava spavaldo e temerario come non era mai stato.
Blaise
era sicuro di ciò che provava.
Draco
scosse la testa, lasciando cadere le proprie obiezioni e limitandosi ad un
gesto vago della mano che strappò una smorfia divertita all’amico.
Lo
avrebbe lasciato andare: se credeva così tanto nella propri sentimenti, se era
davvero certo di potersi riprendere la fiducia della propria donna, chi
era lui per fermarlo?
La
Stanza delle Necessità era il posto ideale per nascondere qualcosa.
Diana
inspirò profondamente, avvertendo un familiare pizzicore al naso nel riempirsi
i polmoni di quell’aria satura di magia.
La
Stanza delle Cose Nascoste – così l’aveva chiamata Ginny quando le aveva
spiegato che cos’era la Stanza delle Necessità – era, in realtà, un’enorme sala
dal soffitto a volta piena zeppa di tutto ciò che generazioni di studenti e
professori vi avevano nascosto o abbandonato: quadri, mobili, vecchie scope,
gabbie vuote, piume, libri e persino qualche pixie della Cornovaglia grasso ed
impigrito.
C’era
di tutto in quel luogo e, se non avesse avuto altri piani al momento, lei si
sarebbe volentieri smarrita un po’ nel frugare in quei cimeli che avevano
sicuramente molte storie e molti segreti da raccontare.
Poteva
esistere un posto migliore per abbandonare una speranza, dei sentimenti, dei
ricordi?
Prese
un altro lento respiro, regolarizzando il battito del cuore, quando il suo
udito fine colse il cigolio della porta d’ingresso spezzare il silenzio
ovattato che riempiva quel luogo; costrinse il proprio corpo a flettersi, a
tendere i muscoli del petto e del braccio, stringendo nervosamente la bacchetta
di quercia fra le dita livide.
Dal
punto in cui era, dove si era celata con un semplice incantesimo – avrebbe
potuto piegare l’aria e la luce al proprio bisogno, rendendosi invisibile senza
la bacchetta, ma aveva preferito evitare – intravide il profilo familiare delle
spalle di Blaise Zabini; represse un brivido, continuando a respirare per non lasciarsi
prendere dalla rabbia o dal dolore, ripassando mentalmente i processi mentali
che avrebbe dovuto modificare nella memoria del ragazzo.
Blaise
aveva raccolto i capelli in un codino basso,
notò quando il ragazzo si avvicinò al punto in cui lei si trovava, sentendo lo
stomaco rivoltarsi quando seppe per certo che non sarebbe mai più riuscita a
guardarlo in faccia una volta compiuto il suo dovere – lei adorava quei
capelli.
Si
morse l’interno della guancia con forza, fino a che non sentì la bocca riempirsi
del sapore familiare del sangue. Il dolore era in grado di tenerla presente a
se stessa, di non lasciare che la sua mente vagasse verso quei pensieri che si
era ripromessa di distruggere assieme ai ricordi del giovane – ma come
avrebbe potuto vivere, lei, ricordando tutto quanto?
Sarebbe
ammattita di certo… dimenticare tutto, spingere tutto quanto in fondo al vaso
di Pandora che custodiva i suoi segreti più profondi, all’improvviso non le
sembrò più così facile.
Come
poteva dimenticare Blaise? Come poteva dimenticare la forza che le aveva sempre
trasmesso la sua presenza, l’esistenza a cui lui l’aveva riportata senza darle
scampo? Come poteva dimenticare la sicurezza nei suoi abbracci, il desiderio
nei suoi baci, la vita nei suoi occhi?
Serrò
le palpebre, Diana, odiandosi più di quanto non avesse mai fatto quando tutti i
pensieri che credeva di aver represso le si rovesciarono addosso, stordendola.
Come
poteva averle fatto una cosa del genere?
Lei
si era fidata… si era fidata ciecamente di lui. Gli si era concessa non
soltanto come donna ma come persona, come creatura magica e persino come amica:
come poteva averla ferita a tal punto? Come poteva, dopo che lei gli aveva
mostrato il lato più oscuro e fragile di sé, averle inferto una pugnalata del
genere?
Quando
aveva visto il Patronus di Blaise assumere la forma di un lupo – la forma
che aveva sempre avuto quello di lei –, quando si era resa conto del
mutamento del proprio, aveva davvero creduto che le cose sarebbero andate bene
per loro…
…i
Patronus non mentivano, però.
Un
Patronus altro non era che la materializzazione di tutto ciò che esisteva di
positivo e di prezioso in una persona: il Patronus di Harry era un cervo, l’animale
in cui si era trasformato il padre; quello di Scott era stato una volpe, il
totem del genitore che aveva perduto; il suo, invece, era sempre stato un lupo…
più selvatico di Felpato, più animalesco di Lunastorta, solitario e malinconico
esattamente come lei.
Fino
a che Blaise non era entrato nella sua vita.
Blaise
le aveva detto di essere rimasto sorpreso nell’accorgersi di quel cambiamento,
perché aveva sempre prodotto un falco quando si era cimentato in
quell’incantesimo; adesso, invece…
Chiuse
gli occhi, Diana, rovesciando la testa indietro e lasciando cadere il braccio
della bacchetta lungo il fianco.
Non
poteva farlo.
Non
poteva fargli un torto del genere, non poteva cancellare come se nulla fossero
state le ultime settimane… non poteva perderlo. Non così.
Con
un gesto esausto pronunciò mentalmente il controincantesimo per la Disillusione
che aveva applicato su di sé, tornando visibile e riponendo poi la bacchetta
nella sua custodia; Blaise, che aveva imparato ad intuire la sua presenza più
che ad udirla – dato che sarebbe stato pressoché impossibile: Diana sapeva
essere straordinariamente silenziosa –, colse il cambiamento e si voltò di
scatto, trovandosela davanti prim’ancora che lei potesse decidere che cosa
fare.
Rimasero
entrambi immobili lì dov’erano, incerti sul da farsi.
Diana
era bella come sempre: nonostante lo sguardo cupo, i lineamenti tirati e gli
occhi arrossati, era sempre tanto splendida da mozzargli il fiato. Aveva i
denti stretti, come se stesse cercando di trattenere un grido, e le labbra
scurite dai segni dei morsi che doveva essersi inferta da sola per mantenere il
controllo sulle proprie emozioni.
Che
sciocca.
Avrebbe
voluto rimproverarla, dirle che era stato tutto un dannato malinteso, che
avrebbe dovuto comportarsi come una vera Grifondoro e trovare il coraggio di
affrontarlo a viso aperto invece di ordire quella farsa – ma tutto svanì nello
stesso istante in cui colse il dolore che le si agitava negli occhi, avvolto
dall’opalescente lucore di un abito intessuto di lacrime.
Eppure,
ancora una volta, Diana stava lottando: si stava costringendo a mantenere
un’espressione fiera davanti a lui, stava disperatamente tentando di tenere
insieme i pezzi di quella maschera incrinata dietro cui si era nascosta per
sfuggire al tormento… stava combattendo l’unico nemico che non era mai riuscita
a sconfiggere: se stessa.
-Non
dovevi farmi un Incantesimo della Memoria, tu?- le domandò, sorprendendosi
dell’astio che si era mischiato alle proprie parole, squadrandola con tanto
gelo da farla rabbrividire.
Diana
però si limitò a negare con un gesto lieve del capo, ignorando la sua
provocazione.
-Nessun
incantesimo.- mormorò la bruna, rivolgendogli un mezzo sorriso pieno di
indicibile tristezza. -Non ci riesco.- ammise poi, contrita, distogliendo nuovamente
gli occhi da quelli di Blaise.
-Meglio,
perché sarebbe inutile ed estremamente fastidioso.- fu la risposta caustica di
lui. -Quando capirai di poterti fidare di me?- aggiunse, avvicinandosi di
qualche passo alla giovane e costringendola così ad affrontare il suo sguardo.
Lei
alzò di scatto la testa, scoccandogli un’occhiata ardente e furibonda.
-Quando
non ti vedrò abbarbicato alla prima bionda che ti salta addosso.- sbottò,
assottigliando le palpebre sulle iridi d’acciaio – Blaise però dovette trattenere
un sorriso a quella reazione, perché vederla infiammarsi in quel modo gli
suggeriva che poteva esserci uno spiraglio nella sua armatura che lui avrebbe
potuto sfruttare per farla ragionare.
-È
più complicato di così.- ammise, distogliendo le iridi da lei e spostando
l’attenzione altrove, improvvisamente a disagio.
Lei
sbuffò.
-Allora
spiegamelo.- fu la sua astiosa replica, e Blaise non esitò nemmeno per un
istante a cogliere quell’occasione.
-Daphne
mi è stata promessa in sposa quando non eravamo neanche nati.- esclamò tutto
d’un fiato, conscio di dover dosare le parole con estrema accuratezza e di
doverlo fare anche in fretta, perché Diana – ormai la conosceva abbastanza da
averlo capito – non era esattamente una persona paziente. -Ti confesso
di non averci mai pensato davvero… abbiamo sempre avuto tutti gli amanti che
volevamo e la prospettiva del matrimonio era abbastanza lontana da non doverci
pensare.- continuò, sforzandosi di alzare gli occhi su di lei – Diana doveva
vedere, Diana doveva capire.
Sospirò,
profondamente disgustato da ciò che si stava costringendo a descriverle. Diana
non meritava questo – lui non meritava questo, avrebbe dovuto avere il
diritto di scegliere da solo la persona con cui passare il resto della propria
vita! Come aveva potuto ignorare quella verità per così tanto tempo?
Forse
non lo avrebbe mai nemmeno capito, se non avesse incontrato Diana.
Lei
gli era entrata dentro e aveva distrutto tutto ciò in cui aveva creduto sino a
quel momento della sua vita. Solamente il pensiero di perderla o di separarsi
da lei gli era inaccettabile: lei era tutto ciò che non aveva mai cercato,
tutto ciò di cui aveva sempre sentito la mancanza – lei era il suo presente e
sarebbe stata il suo futuro e, di questo, Blaise era certo.
-Adesso
però è tutto diverso.- mormorò, sostenendo la sensazione di essere trapassato
da quelle lame argentee che, lentamente, si erano riempite di un’attonita
incredulità.
-Pensavo
che queste cose non esistessero più.- borbottò la mora, stringendo i pugni e
cominciando a camminare rapidamente lungo il tortuoso corridoio della Stanza,
in preda al nervosismo. -Dai Blaise, è assurdo!- esclamò dopo una manciata di
secondi, lanciandogli uno sguardo che avrebbe voluto essere ironico – che,
tuttavia, a Blaise sembrò solo terribilmente implorante.
Il
ragazzo scosse la testa, profondamente irritato da quella scomoda realtà che
avrebbe ardentemente voluto cancellare definitivamente dalla propria vita.
-Voldemort
ha scelto così, e mia madre è una Mangiamorte esattamente come i Greengrass.-
si limitò a farle notare, sforzandosi di pronunciare il nome dell’Oscuro
Signore nonostante l’abitudine contraria; fu quello, più di tutto il resto, a
far comprendere a Diana quanto tutta quella situazione lo turbasse
profondamente.
Blaise
non stava mentendo.
Poteva
fidarsi del proprio istinto? Poteva dar retta al proprio intuito, alla
consapevolezza di avere davanti una persona che le stava dicendo solamente la
verità? Poteva fidarsi di lui?
-Adesso
fa anche l’agente matrimoniale, quello?- commentò, senza rendersi conto di aver
alzato la voce di almeno tre ottave, arrestando bruscamente la propria marcia
angosciata a meno di due spanne di distanza da Blaise.
Lo
guardò in volto, percependo il cuore riscaldarsi appena nel riconoscere quei
tratti che aveva imparato ad amare giorno dopo giorno, lentamente, da quando
quel giovane uomo aveva fatto irruzione nella sua vita – non voluto, detestato,
allontanato… eppure rimasto fino a che lei non si era resa conto che continuare
a respingerlo sarebbe stato inutile.
Era
lì per lei.
L’aveva
sfidata ancora una volta, presentandosi lì conscio di ciò che lei avrebbe
dovuto fare – l’aveva vinta ancora una volta, travalicando le sue
strenue autodifese e distruggendo i pensieri di cui si era corazzata per
convincersi che perderlo sarebbe stata la cosa migliore.
No.
Blaise non stava mentendo.
Abbassò
lo sguardo, sentendosi sciocca e colpevole per la reazione spropositata che
aveva avuto, stringendosi le braccia attorno al corpo in un muto gesto di
protezione.
-Mi
dispiace… non dovevo reagire in quel modo.- mormorò, lasciando che la tensione
che le si era accumulata nelle spalle si sciogliesse e scoprendo di avere
freddo – una sensazione che non le capitava molto spesso, e a cui non era più
abituata.
Aveva
freddo dentro, da molto più tempo di quanto potesse immaginare.
-Non
fa niente.-
Sussultò,
quando il respiro caldo di Blaise le solleticò l’orecchio.
Il
calore che quel giovane emanava era così piacevole, così familiare, così
rassicurante… come aveva potuto pensare di separarsene, di abbandonarlo in quel
modo tanto brutale che aveva congegnato – come aveva potuto pensare di
allontanarsi da Blaise?
Lui
era la sua forza…
Quel
pensiero la attraversò con la violenza di una lama ghiacciata, facendola
rabbrividire violentemente ed offuscando i suoi occhi di un tormento che Blaise
aveva imparato, ormai, a conoscere.
-Cosa
non mi stai dicendo, Di?- le domandò, allungando i polpastrelli sulla pelle
soffice delle sue guance; le sue carezze dipinsero lievi tratti rosati sulla
carnagione delicata della ragazza, strappandole un sospiro spezzato ed un
tremolio incerto di quelle sue lunghe, folte ciglia di pizzo.
-Io
non__- le parole le s'incresparono sulle labbra come foglie abbandonate dal
vento sull'orlo di un precipizio, scivolando nel vuoto quando la sua fiacca
protesta perì nel verde plumbeo dello sguardo di Blaise.
-Diana.-
Nel
momento in cui il suo nome fu pronunciato con quella ferma, calda dolcezza a
cui non era in grado di negare nulla, Diana sentì qualcosa spezzarsi; e, dopo
un istante, la devastazione a cui tanto a lungo aveva resistito la travolse e
l’annichilì, distruggendo tutto ciò che lei aveva erso per ingabbiarla dentro
di sé.
Non
sarebbe mai stata in grado di perdere Blaise.
Vederlo
con Daphne, vederlo lontano da sé, vederlo preferire un’altra a lei aveva
spaccato qualcosa in quell’armatura di porcellana che si era ostinata ad
indossare tanto a lungo, permettendo ai demoni dell’incertezza, dell’abbandono
e della solitudine di ghermire le sue carni fragili ed esposte.
Il
terrore di perderlo era stato più forte di qualsiasi altra cosa – del
raziocinio, della freddezza del soldato, della calma dell’assassino: tutto era
stato annientato dalla paura di essere abbandonata da quel giovane uomo che le
era entrato dentro e che lei amava, sì, che amava con ogni fibra del
proprio essere.
...lui
era la sua forza, e sarebbe rimasto tale quando lei più non ne avrebbe avuta.
-…ho
paura, Blaise.- singhiozzò, abbandonando il viso fra le pieghe di stoffa,
intrise di quell'odore familiare e tanto adorato, della camicia di Blaise.
Lui
le cinse la vita con le braccia quando le gambe le cedettero, sorreggendola
quando, con grazia, la giovane scivolò sul pavimento e si accasciò contro di
lui, arrendevole come una delicata bambolina di pezza.
Era
troppo... era stanca, più stanca di quanto non fosse mai stata.
Non
poteva più continuare così: le era stato portato via troppo, troppe volte –
troppo profonde erano le ferite che le erano state crudelmente inferte dal
fato, e lei non aveva più voglia di continuare a lottare davanti a tutto ciò
che cercava di strapparle quel poco di serenità che era riuscita a trovare.
Però
lei non era più sola a combattere quella guerra contro il destino... ed era ciò
che la terrorizzava più di qualunque altra realtà.
-Sei
tu che mi fai paura...- mugolò, aggrappandosi alle spalle forti del giovane
quando l'agonia la travolse con tanta violenza da provocarle un lacerante
dolore fisico.
Come
poteva essere tanto terrorizzata? Come poteva soffrire così profondamente al
pensiero di perdere lui?
Le
mani di Blaise le scivolarono sul volto, cancellando le lacrime sottili che ne
avevano deturpato il profilo con una delicatezza disarmante – come se mai
avesse voluto ferirla, come se avesse solo voluto prendersi cura di lei.
-Sssh.-
le sussurrò piano, accostandosi al suo viso e raccogliendole i capelli umidi di
pianto dietro le orecchie – il dolore le donava in un modo straziante,
si disse, perché non gli era mai parsa meravigliosa come in quel momento:
pallida e stravolta, con gli occhi lucidi e le labbra arrossate dai morsi.
Forse
era lui a vederla in quel modo, a scorgere il suo volto attraverso il velo che
il sentimento aveva posto sul suo volto – oppure ogni schermo gli era stato
sottratto proprio da quell’affetto, permettendogli così di distinguere la
realtà per la prima volta in tutta una vita?
In
fondo… non era così importante.
Quale
che fosse la risposta a quelle domande lui sapeva ciò che aveva dinanzi: era
ciò che non si sarebbe mai lasciato sfuggire, che avrebbe amato per ogni
istante della sua esistenza e a cui sarebbe rimasto accanto a qualsiasi costo –
gioendo quando l’avrebbe vista, finalmente, rialzarsi e combattere ancora una
volta, di nuovo fiera di se stessa almeno quanto lui sarebbe sempre stato di
lei.